A tempo perso

A tempo perso. Parole che rinviano a un’idea di inutilità, a una dimensione del tempo, che poi è porzioni di vita, sottratta a ciò che è necessario e utile. Si può in effetti perdere tempo, ma tutto dipende da come si perde nel tempo. Se il tempo perso tempo è dedicato alla cura di ciò che in una società sopraffatta dalle idee di efficacia e di efficienza e guidata dalla dimensione quantitativa piuttosto che da quella qualitativa, può darsi allora che il tempo perso sia tempo ritrovato, ritrovato per la cura di se stessi, delle relazioni sociali, nella vita affettiva ed emotiva, delle passioni anche per ciò che una società efficientista giudica inutile come la letteratura, l’arte, la filosofia, la storia.

Perdere tempo può significare allora ritagliare uno spazio per noi stessi, uno spazio per la lettura, la scrittura, la fotografia, la pittura, la riflessione, la conversazione, uno spazio dove il ritmo è cadenzato da noi stessi e non da ciò che ci circonda. Tutto questo sito è frutto di tempo perso, di tempo sottratto alla gestione di ciò che è utile, necessario, produttivo, remunerato.

Ma perché all’interno del sito una sezione chiamata “A tempo perso” se tutto ciò che vi si trova all’interno è frutto di tempo perso? La scelta è dovuta al modo con cui questo sito è nato ed è stato costruito. Il sito “massimocec” è nato da due mie passioni, una più recente e una più antica: la passione per la filosofia e la passione per la fotografia. A poco a poco però alle tematiche relative a questi due ambiti se ne sono aggiunte altre quali la letteratura, l’arte, in particolare la pittura, i viaggi, l’interesse per i luoghi che in qualche modo contribuiscono a creare spazi di tempo perso all’interno del tempo utile, necessario, con la consapevolezza che tutte queste aggettivazioni sono ambigue, parziali, interpretabili. Che cos’è l’utilità se non si contestualizzata il suo significato. Il gioco dei bambini ad esempio è utile? È certamente tempo perso rispetto ad un concetto produttivo di utilità, ma utile alla crescita, al formarsi della persona così come è utile alla nostra stessa sopravvivenza il tempo dedicato a noi stessi. Forse ritagliare spazi per le attività del tempo perso è un po’ come preservare il contatto con la dimensione del bambino che siamo stati e che non possiamo ritornare a essere se non con altre modalità e altri strumenti. Non si tratta di riesumare una sorta di poetica del fanciullino di pascoliana memoria perché nel nostro interesse per il tempo perso non c’è alcuna contrapposizione tra razionale e irrazionale, nessun esaltazione dell’intuizione o della spontaneità né nessun spazio privilegiato per la poesia o per altre forme di espressione e di conoscenza. Anzi, nel nostro tempo perso c’è il tentativo di far cooperare ragione e passioni, scienza, filosofia, arte. Il bambino che si fa fotografare e che è osservato con interesse dall’adulto è il bambino che si stupisce di fronte al mondo, che si fa coinvolgere dal gioco intensamente, che si appassiona al suo gioco e sorride all’adulto che log guarda, un sorriso che è anche un invito, l’invito a condividere la passione, il coinvolgimento.

Un altro elemento importante per spiegare perché una sezione del tempo perso e dato dal fatto che a un certo punto ha cominciato a contribuire alla gestione del sito anche il mio amico Ovidio Della Croce, anche lui appassionato di fotografia, ma più orientato verso la dimensione della letteratura e in particolare della narrazione. Sono cominciati ad apparire sul sito spazi narrativi spesso orientati a recuperare ricordi, momenti del nostro passato, nel tentativo di non farsi prendere troppo dalla nostalgia, ma di utilizzarli per approfondire la riflessione da noi portata avanti, a tempo perso, sul nostro passato, sul nostro essere soggetto del nostro tempo, soggetti che vivono il nostro tempo prendendo posizione, cercando di capire, di guardare, non solo di vedere.

Abbiamo ritenuto utile, quindi, distinguere queste due aree caratterizzate dall’uso di diversi strumenti. La prima, quello del guardare inteso come superamento del semplice vedere, come un puntare lo sguardo sui particolari, sulle relazioni tra gli oggetti che cadono sotto lo sguardo per coglierne forse aspetti che Barthes avrebbe collocato nella dimensione del “punctum”, di ciò che colpisce la dimensione emotiva, ciò che si trova in ciò che vediamo senza che l’autore, chiunque esso sia, l’abbia intenzionalmente inserito, un puntare lo sguardo che utilizza tra i suoi strumenti anche la macchina fotografica e, per il mio amico Ovidio, anche il ritocco a mano di cartoline e fotografie. La seconda, soprattutto la parola scritta, ascoltata o letta. Certo, la distinzione non è così netta, perché in tutte le pagine c’è almeno un’immagine e, ad eccezione delle gallerie, c’è un testo. Ciò che cambia è il ruolo prevalente che l’immagine del testo giocano all’interno della pagina.

Nella seconda area abbiamo perciò pensato di dedicare sezioni alle attività dove la parola gioca un ruolo primario quali il discutere, il ricordare, il documentare, il raccontare, il leggere, l’ascoltare, il riflettere, il sognare. Ciascuna di queste attività non è specifica né della dimensione iconica né di quella verbale. La distinzione si basa soprattutto sulla nostra percezione del ruolo che l’immagine o la dimensione verbale hanno e logicamente questa percezione può non essere condivisa. Ma questo è naturale perché non si può presupporre una totale concordanza tra chi propone e chi riceve, tra chi scrive e chi legge, tra chi disegna o fotografa e chi guarda. Sono le caratteristiche del gioco, soprattutto di quel gioco che si basa sulla comunicazione realizzata mediante quelli che possiamo definire i sensi pubblici, la vista e l’udito. Quelli che chiamiamo sensi privati, l’olfatto, il tatto, il gusto per il momento danno più spazio alla dimensione privata, soggettiva in quanto non abbiamo ancora gli strumenti per esternalizzare il percepito se non attraverso una traduzione in parole che è per forza di cose molto parziale e limitata. È vero che possiamo ricorrere alle metafore, alle sinestesie, a tutto quell’armamentario di strumenti retorici che il verbale ci mette a disposizione, ma tutto ciò non riesce a colmare la distanza che separa i sensi privati della dimensione pubblica della vista dell’udito. Ma anche la dimensione pubblica della vista e dell’udito apre un gioco complesso tra chi produce e chi recepisce, e anche tra diversi soggetti che recepiscono un gioco che potremmo definire, con Peirce e del suo erede sul piano culturale Umberto Eco, il gioco dell’interpretazione, un gioco che da un lato genera potenziali libertà interpretative e dall’altro, proprio per la dimensione pubblica della vista dell’udito, della parola, restringe tali libertà rendendo impossibili alcune interpretazioni. Certo tutte queste sono distinzioni parziali perché ciò che domina è l’intreccio, il continuo scambio di informazioni, dati, sollecitazioni, sensazioni, emozioni tra tutte le aree perché al centro di tutto ci sono due unità, quella del mondo e quella del soggetto che in esso abita. È il soggetto che guarda il mondo che ha bisogno di un po’ d’ordine, di rintracciare qualche senso e per far ciò cataloga, separa, stabilisce relazioni. Il mondo si limita a rispondere dicendo che cosa non va, mettendo in primo piano i vincoli e i limiti.

Un’ultima questione è la domanda se ciò che prevale nel nostro sito è una sorta di contenuto autobiografico. Penso di sì, ma non nel senso di attività a tempo perso dedicate esclusivamente alla riflessione su noi stessi, ma perché tutta una serie di attività del tempo perso hanno una natura autobiografica. Distinguerei essenzialmente tra pensiero scientifico e tutte le altre forme di pensiero, da quello filosofico, a quello artistico, a quello letterario in cui siamo immersi. Il pensiero scientifico tende a eliminare l’aspetto autobiografico mettendo in primo piano l’elemento intersoggettivo che in qualche modo si libera dal vincolo che lega il pensiero all’autore, al contesto in cui è sorto, alla sua storia. Il pensiero scientifico, infatti, per sua natura può fare a meno sia di indicare l’autore di una determinata teoria sia la storia che ha portato all’affermarsi di quella teoria. Nel pensiero scientifico prevale una sorta di lotta per l’affermazione che tende ad essere selettiva. Chi perde, almeno per il momento deve farsi da parte e chi vince diventa una sorta di patrimonio pubblico. L’autore, il contesto e la storia sono corollari del pensiero scientifico e non ne costituiscono l’intima struttura. Il pensiero letterario o meglio la produzione letteraria, la produzione artistica, la produzione filosofica non possono invece fare a meno di indicare l’autore e la storia, il contesto storico. Il legame tra l’opera, l’autore e il contesto storico è indissolubile. In questo senso ciò che produciamo a tempo perso in tali ambiti è sempre autobiografico.

massimocec aprile 2021