Vela o non vela?

Cronaca della prima regata dell’America’s Cup, tra un Forza Italia e un Forza Nuova Zelanda, con disappunto del nostro corrispondente sul giro di miliardi spesi in una gara in cui la vela non c’entra niente; ecco quindi, per contrasto, il riferimento al Maori e alla sua antica canoa. E poi la polemica: i monoscafi volanti sono ancora barche a vela?

Vela

Bruno Ferraro

AUCKLAND, 17 dicembre 2020

Takapuna Beach era affollata; molti spettatori sventolavano la bandiera della Nuova Zelanda. Vi ero arrivato in autobus perché prevedevo tanta folla per la prima regata dell’America’s Cup; sarebbe stato impossibile trovare parcheggio vicino al campo di regata A: tanto valeva prendere l’autobus e fare un chilometro a piedi per arrivare alla spiaggia. Già pregustavo un posto all’ombra di un “pohutukawa” che quest’anno, al contrario della solita fioritura natalizia, già inondava la spiaggia dei suoi colori rosso vermiglio. Lo avevo interpretato come un segno di buon augurio per Luna Rossa.

Dalla mia posizione di osservazione avevo la possibilità di inquadrare nella distanza “Rangitoto”, il vulcano che non fa le bizze da oltre settecento anni, ma che se lo facesse, cancellerebbe dalla superficie della terra la città di Auckland dove abito da più di trenta anni e mi dispiacerebbe assai di perderla. “Rangitoto”, in Maori, significa “cielo rosso come il sangue”; il cielo rosso, altro segnale di buon augurio per Luna Rossa.

Attorno a me la gente mostrava la loro trepidazione ed eccitazione scambiando frasi di quotidiano interesse: c’era chi parlava degli ultimissimi vaccini contro il famigerato Covid, altri pensavano alla spesa al supermercato prima del Natale e altri ancora alle ferie che avrebbero passato in luoghi lontani dalla grande città. Ho sempre amato ascoltare frammenti di commenti e poi riviverli e riempire gli spazi, frase che mi riportò alla mente un racconto dell’amico Antonio Tabucchi. Frastornato dal vocio, dal da farsi di chi mi era accanto per cogliere la partenza della regata, me l’ero persa; francamente non me la presi: avevo organizzato di registrarla e così avrei anche apprezzato gli elaborati grafici che TVNZ 1 aveva promesso ai telespettatori.

“Team NZ” indubbiamente stava vincendo, ma proprio mentre il coro degli spettatori neozelandesi si faceva più accaldato, mi giunse da molto dietro a dove ero seduto un “Forza Italia” che mi lasciò molto perplesso. Chi era? Non mi voltai e anche se lo avessi fatto, sicuramente non avrei potuto individuare chi lo aveva pronunciato; ma perché proprio “Forza Italia”? Che cosa c’entrava in una regata in cui “Prada” e “Pirelli” rappresentavano la società dei consumi italiana? Lo sport della vela era oramai alla mercé di chi aveva più soldi e disponeva di tecnologia avanzata.

Erano tutti in piedi, anche l’enorme Maori che stava davanti a me, anche lui gridava “Go kiwi, go”; lui, i cui antenati erano giunti su quest’isola a forza di colpi di pagaia sulla loro waka. E così mi ero perso anche l’arrivo. Mi alzai per tornare alla fermata dell’autobus prima della ressa e per evitare i commenti trionfanti dei miei concittadini.

Strada facendo, ripensai a quelle parole, “Forza Italia”; erano anni che non le sentivo pronunciare e il pensiero tornò a Pisa, al marzo 1995, alla prima mondiale di Sostiene Pereira tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi; a cena con l’amico Remo Bodei ed altri pisani uno di essi aveva esclamato: “Questo marzo ‘95 scaccia quello dell’anno scorso.” Purtroppo al 1995 seguì il 1996 e allora ricordai le parole di cui avevo fatto partecipi i miei studenti nel corso che facevo sulla società italiana; sono le parole di Karl Marx da Il 18 brumaio dove, correggendo un pensiero di Hegel, scrisse: “I fenomeni storici accadono sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.”

Ricordo che avevo posto come quesito agli studenti di trovare un aggettivo per descrivere la situazione nel caso “i fenomeni” si fossero ripresentati per una terza volta. Sono andato in pensione prima che tale situazione si avverasse ma, forse, chi in spiaggia ha pronunciato quelle parole, non aveva letto Marx. Tornato a casa, non me la sentivo di rivedere la regata: tanto il risultato lo conoscevo già. Cercai su Youtube la versione di “O luna rossa” con l’Orchestra italiana di Renzo Arbore accompagnato da Eddy Napoli e Francesca Lo Schiavo; erede dell’amore che mio padre (natio di Capri, anzi di Anacapri – ci teneva a precisare) mi aveva trasmesso per il napoletano, m’immersi nelle note di quella canzone: il tema non aveva nulla a che fare con la vela, ma tanto con l’Italia che conoscevo.

Bruno Ferraro dicembre 2020

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Alert: content is protected”

Copyright: BRUNO FERRARO

Ma è vela?

Ovidio Della Croce

Dopo aver letto il racconto del nostro Bruno Ferraro ho sentito il bisogno di allontanarmi dal piccolo cabotaggio e dalla navigazione corsara nei mari della politica italiana. Mi sono incuriosito alla trentaseiesima edizione dell’America’s Cup, il più antico trofeo del mondo nella storia dello sport (compie 170 anni) iniziato a dicembre a largo di Auckland, nelle acque del Golfo di Hauraki. Ho cercato su internet qualche informazione, ho visto alcuni video molto coinvolgenti e ho scoperto che a dettare le regole della competizione sono i campioni in carica. I neozelandesi, per trarre più vantaggi possibili dalla loro posizione, hanno spinto in direzione della massima innovazione al punto che le barche iper-tecnologiche possono essere definite rivoluzionarie.

La scoperta per me più sorprendente è stata quando ho visto che, a differenza del passato in cui gli equipaggi gareggiavano con dei catamarani, nell’America’s Cup 2021 le quattro squadre coinvolte solcano il mare con dei monoscafi ad alta prestazione. La vera sorpresa è che sono monoscafi volanti. Lunghe quasi ventitre metri e larghe cinque le imbarcazioni che rigano appena le acque durante la regata sono dotate di due appendici che permettono di staccare la carena dal mare per non sentire più gli sbattimenti delle onde e i freni del movimento dell’acqua. A un certo punto, dai lati della barca, spuntano le ali (le cosiddette foils), che permettono al monoscafo di alzarsi in volo, così le carene guizzano in aria rimanendo come sospese sopra le onde. Le barche mantengono l’equilibrio sulle due ali mobili ai lati della carena, comandate da una sofisticata cabina elettronica digitale e movimentate a energia idraulica. Per controllarne l’uso occorre non solo un fisico allenato, intuito ed esperienza, ma anche delle buone capacità tecniche e di controllo dell’intelligenza artificiale.

Si creano diverse classi di barche foilanti, quelle della Coppa America sono capaci di raggiungere e gestire in regata i cinquanta nodi in regime di poppa, oltre novantadue chilometri orari. Come rileva Bruno Ferraro, gli sponsor hanno investito budget ingenti (oltre cento milioni di euro per team) sicuri del grande spettacolo delle dirette Tv che mandano letteralmente in visibilio il grande pubblico. Collegamenti istantanei per costruire un reality della vela tra riprese di foiling, che fa volteggiare le barche sull’acqua, sentire gli ordini perentori delle tolde di comando, vedere all’opera l’equipaggio formato per regolamento di questa edizione da undici persone (cinque disposte sul lato destro, sei sul sinistro) e con il limite di 990 chili attrezzature comprese, inquadrare il formidabile Skipper Max Sirena alla guida di Luna Rossa, captare il sibilo del vento e il fruscio dell’acqua.

La polemica non è nuova e il popolo velista è diviso. Dal momento in cui sono state progettate le ali in carbonio molti sostengono che la vela non c’entra più niente, la considerano una sorta di profanazione più simile a un idrovolante che a una barca a vela, ciò snatura l’essenza della competizione sportiva così tanto da far rimpiangere le waka, le antiche canoe Maori che erano tutt’uno con il mare. Molti altri invece approvano la metamorfosi considerandola adeguata allo sviluppo tecnologico, la barca sollevata sulla superficie dell’acqua con solo l’attrito del foil è frutto di un’evoluzione del navigare a vela che permette di acquisire velocità.

Resta il fatto che queste imbarcazioni sono molto sofisticate e finiscono per diventare elitarie più che in passato.  Luna Rossa, per esempio, è stata tre anni al Molo Ichnusa di Cagliari per un meticoloso lavoro collettivo di ingegneria e calcoli che combina la precisione del lavoro artrigianale dei velai con i complessi sistemi idraulici ed elettronici installati nello scafo in carbonio. Sono talmente esclusive che, in gara per disputarsi il posto di chi sfiderà i campioni in carica neozelandesi, il Defender Emirates Team New Zealand (dal 6 marzo 2021), sono solo tre: quella statunitense del New York Yacht Club, data per favorita, Luna Rossa Prada Pirelli, e l’Ineos Team United Kingdom del Royal Yacht Squadron.

Buon vento e… Forza Italia!

Foto: Bruno Ferraro, Takapuna

odellac dicembre 2020 (Da La Voce del Serchio, 17 dicembre 2020)