Sognare

Sognare non in senso letterale ma nel suo significato metaforico, quello che comunemente viene chiamato sognare ad occhi aperti. Neppure sognare come linguaggio dell’inconscio che si svela, si rivela. Spesso siamo prigionieri di questa immagine nata da una lettura affrettata della psicanalisi, una lettura che proietta sul sogno l’ombra della fotografia, dell’immagine naturalistica finalizzata a riprodurre il reale. Il sogno come riproduzione dei “pensieri” dell’inconscio sulla base di una sorta di pseudogrammatica del sogno. Nella psicanalisi il sogno è non una radiografia dell’inconscio ma un pretesto per riprendere un dialogo che si è interrotto. Sognare è dialogare con qualcosa che non è lì presente davanti a noi, le nostre paure, le nostre aspettative, i nostri desideri, il futuro.

È però necessario distinguere tra il sognare che oppone il sogno alla realtà e il sognare che vede sogno e realtà come elementi complementari, come strumenti che consentono all’essere l’umano di dispiegarsi completamente. Il sogno che si oppone alla realtà è una sorta di evasione da ciò che viene visto come negativo. È il sogno che sfocia nella nella produzione fantastica incontrollata, nella schizofrenia, nel distacco dal reale. Il sogno che invece non si contrappone alla realtà diventa strumento per interagire con essa, è il sogno che si avvicina all’utopia, il sogno che diventa strumento per scoprire le molteplici possibilità che la realtà nasconde, che apre verso il senso del possibile. Salvatore Veca ha scritto un libricino (Non c’è alternativa) contro il realismo opprimente, l’univocità dello stato delle cose, la falsa necessità. Il sogno è lo strumento principale per lottare contro tutto ciò che tende a mostrare una determinata immagine della realtà come unica e necessaria.

Salvatore Veca dice che “abbiamo bisogno di idee nuove e audaci”; queste idee servono a mettere in luce le potenzialità della realtà, le sue molteplici vesti, a rivedere il sistema di vincoli che ci legano alla realtà. Un ruolo importante lo gioca il senso del passato inteso come esplorazione di ciò che l’uomo è riuscito a fare incidendo sulla realtà, modificando esplorando e percorrendo innumerevoli sentieri quella struttura che viene definita rizomatica perché, a differenza dei labirinti tradizionali, non ha un solo percorso possibile una sola uscita predefinita. Anche questo caso, come per il sogno, il senso del passato è un elemento ambiguo, utilizzabile nel senso che ho indicato prima solo nel caso in cui non prevalga l’immagine del passato come un vincolo che determina univocamente il presente, non prevalga la tradizione come unico elemento che agisce sul presente. Intere culture  e storie individuali sono spesso vittime di questo senso del passato opprimente. Il sogno viene schiacciato o ridotto a nostalgia, a rievocazione di un passato che non c’è mai stato, a terribili immagini di società perfette fondate sull’eliminazione delle differenze, delle contaminazioni, delle novità. Sognare quindi è riuscire a esplorare e oltrepassare i confini di quel cerchio che talvolta ci appare rigido, definito una volta per tutte. Certo questi sogni non possono essere un prodotto esclusivo dell’immaginazione. Noi facciamo parte dell’essere e ciò costituisce un vincolo insopprimibile. Ma siamo anche estranei all’essere, siamo di fronte a lui come soggetto che pensa, che sogna.

La gigantesca pandemia che stiamo vivendo è una dimostrazione di quanto noi siamo legati a quell’essere che ci è estraneo e di cui facciamo parte, della nostra fragilità perché in balia dell’essere e della nostra forza perché siamo soggetti che guardano dall’esterno l’essere. La lotta che stiamo portando avanti quindi è anche la dimostrazione che attraverso il sogno, l’utopia, possiamo modificare la realtà che l’essere ha predisposto obbedendo alle sue leggi. L’essere ci aggredisce perché siamo parte di esso ma è anche altro da noi perché siamo in possesso di strumenti che ci consentono, guardandolo dall’esterno, di scoprirne le molteplici identità e di utilizzarle per noi. Alla fine non c’è dubbio, l’essere prevarrà ma ciò non cancella l’importanza del nostro tentativo di dialogare con questo entità estranea e indifferente, la vita è tutta interna a questo gioco, al tentativo di ritardare lo scacco che ci aspetta inesorabile e il sogno è lo strumento principale di questo dialogo.

Lo strumento che ci permettere di sognare è il linguaggio. Anche questo caso noi non siamo completamente padroni del linguaggio perché linguaggio viene prima di noi, lo prendiamo come un dato, lo impariamo come qualcosa che ci precede, dobbiamo rispettarne le regole, siamo immersi in esso. Il linguaggio però è anche una tecnica inventata dall’uomo, una tecnica che ha avuto un’origine, un inizio ed è perciò flessibile, modificabile. Il linguaggio è talmente potente che si è impadronito dell’uomo. Noi veniamo dominati dal linguaggio, ci muoviamo solo entro linguaggio, ma linguaggio è il prodotto di una storia che ha un’origine che è nel nostro cervello, nella nostra mente, nella natura di essere umano che agisce sfruttando le potenzialità dell’essere a suo vantaggio. Se il linguaggio precede l’uomo e lo costituisce, l’uomo può anche utilizzare il linguaggio, modificarlo per incidere sull’essere perché l’uomo ha prodotto il linguaggio.

I rapporti tra linguaggio e l’uomo, tra l’essere e l’uomo sono rapporti dialettici, rapporti che forse agiscono alle spalle dell’uomo ma che l’uomo può a sua volta utilizzare e modificare entro certi limiti del rispetto di vincoli che sono anch’essi mobili. Sogno e linguaggio sono strettamente legati all’interno di una complessità in cui possiamo dire che l’essere è da un lato estremamente più ricco di ciò che il linguaggio e il sogno possono produrre e nello stesso tempo il linguaggio e il sogno possono anche andare al di là dell’essere quale ci appare producendo così una sorta di duplice asimmetria. Sognare è quindi tentare di varcare quel confine che la realtà ci mostra come confine insuperabile, come dato, come fatto inoppugnabile. Un tentativo audace, non sempre destinato al successo perché l’essere, la controparte di questo dialogo, è lì a dirci se il sogno è riuscito ad entrare in contatto con ciò che sta di là del confine oppure no. Ma è il tentativo che ci rende vivi e perciò esseri umani.

massimocec aprile 2021