A mo’ di introduzione

Cosa dire ora che i pensieri fissati sulla carta sono molti. Niente di più che, nonostante la mole, la chiarezza è ancora lontana. Instabilità, impossibilità di ruotare intorno a un punto fermo. Si potrebbe dire che questi pensieri rivelano l’inconsistenza e la mancanza di oggetti solidi duraturi immersi in una realtà che consolidi o rigetti le prospettive e i punti di vista. Gli oggetti appaiono sfuggenti, mutevoli di fronte ad un soggetto che gli saltella intorno senza mai riuscire ad afferrarli (e forse senza neppure cercare di farlo). Questi pensieri sembra siano l’emblema dell’arte del non dire niente e, allora, si fa strada la tentazione di cancellarli e dedicarsi finalmente a qualcosa di serio. 


Il mio maestro

Il giudizio del maestro nei confronti di un giovane studente è sempre qualcosa di determinante. Il giudizio del mio maestro nei miei confronti era uno di quei giudizi che, una volta conosciuti, ti fanno sentire un idiota e ti condannano a lottare contro di esso: “è un ragazzo che si impegna ma non eccessivamente intelligente”. L’eufemismo è la forma più vile e ipocrita del pilatismo. Fino ad oggi ho lottato contro quella sfida. Povero, brutto, nato da genitori semianalfabeti, timido, solitario, orgoglioso e testardo. Tutti gli ingredienti necessari per una vita infelice, una vita all’insegna della lotta per non essere schiacciato da se stesso. 

Oggi inizio a scoprire l’inutilità di quella lotta, l’indifferenza per ciò che uno è di fronte agli altri e l’importanza di ciò che uno è di fronte a se stesso. La bruttezza, la timidezza, la povertà non si cancellano, ma non è detto che siano determinanti quando in gioco ci sei tu e non la tua immagine. Una posizione sociale, una volta raggiunta, è solo una condizione relativa e se non si capisce ciò, tutto vacilla. Se solo le regole del gioco, le relazioni sociali contano e tutto il resto è indifferente allora puoi travarti solo, tremendamente solo e il maestro può prendersi la sua rivincita potendo affermare “avevo ragione”. Ma la sfida non è con il maestro, è con se stessi e il maestro semplicemente non c’è più.


Immagini infantili

Un orto con file di pomodori dove nascondersi, un cortile, panni stesi, un argine enorme di fronte al cortile, un argine che sembra una muraglia insormontabile, conigli, galline, figure umane dal volto non definito ma a loro modo nitide, una donna dai capelli neri, bella e gentile, un uomo volgare, odioso, fumatore accanito che la maltratta. Un grembiule a quadretti, le traversate del fiume a guado per andare a cenare sulle piagge della riva opposta in afose serate estive in compagnia di vivaci cugini, feste da ballo organizzate nelle stanze di una casa di campagna cui i bambini partecipano come indesiderati e dispettosi spettatori, serate passate alla casa del popolo in sale sommerse dal fumo, gremite di gente confluita lì per vedere la televisione. Un gelataio con carrettino, dieci lire di gelato fra due biscotti, la carrozza per andare in città e, infine, il trasloco su un carro trainato da un cavallo e un bimbo caricato sopra insieme ai mobili.

Continui litigi, un continuo rinfacciarsi di colpe, tutto radicato all’interno di una miseria onorevole resa però insopportabile da un atteggiamento che fa della povertà l’emblema di un’identità,  un atteggiamento negativo agli occhi di un bambino inconsapevole che esalta ciò che non si è e non ciò che si è. Rabbia, vergogna di fronte alla rassegnazione e alla glorificazione negativa del proprio stato di povertà. Due persone distanti, talvolta incapaci di comprendersi e di sforzarsi di comprendere, due persone quasi inermi di fronte alla vita, vergogna per loro e per la famiglia, per qualsiasi famiglia.

Solitarie passeggiate per campi di grano appena tagliato, un piccolo cane sempre tra i piedi ma benvoluto, solitudine, silenzio, distese enormi di giallo e azzurro. Cantine piene di odori, odore di pane appena cotto, di erba, di uva appassita appesa al soffitto, di lampade a petrolio. Brevi serate passate ascoltando con due vecchi per poco tempo una radio funzionante a pile di fronte a un camino spento, scale buie, camere illuminate per breve tempo dalla lampada a petrolio, otri pieni di acqua portata da un treno, il treno a vapore che si ferma per riempire i vostri continuando a sbuffare indifferente, le littorine, un vecchietto silenzioso, con il sigaro in bocca seduto vicino al camino o sul gradino di un piccolo deposito di attrezzi davanti alla ferrovia, una vecchietta premurosa che ogni giorno parte con la sua bicicletta lungo la strada sterrata che attraverso la ferrovia e torna dopo qualche ora con le borse piene di chissà che cosa. Pescatori, cacciatori che passano in bicicletta e attraversano la ferrovia dopo essersi fermati a controllare che non arrivi nessun treno. Il ponte della ferrovia che si può traversare solo passando sulle traversine con un brivido di paura e insieme una sensazione di coraggio. Libertà, autonomia quasi assoluta. Le persone che quasi non contano molto; più interessanti sono gli oggetti e gli animali in quel mondo e in quel tempo. Il sole, la ricerca dell’ombra e del fresco lungo fossi dall’acqua limpida pieni di girini, di rane, di piccoli pesci. Montagne, boschi, lunghe passeggiate alla ricerca di oggetti, di avventure. Boschi che si trasformano in foreste misteriose dove da un momento all’altro possono comparire i famigerati indiani del Far West, dove un capanno di cacciatori diventa un fortino abbandonato. Compagni utili se partecipano a questo mondo, altrimenti fastidiosi, insopportabili perché capaci di far riemergere il senso di inferiorità momentaneamente nascosto dai giochi.

Scuola, vergogna; umiliazione di ricevere gli inutili doni del padronato scolastico, pacchi di pasta dal sapore indecifrabile, quaderni più brutti di quelli comprati, lapis, penne, matite e un bicchiere di latte in polvere imbevibile ogni mattina. L’odiosa permanenza scuola dopo il termine delle lezioni per il consumo di un pasto quando tutti gli altri possono andare a casa. I bambini hanno molta più dignità di grandi ed è un reato offenderla. La vergogna può renderli ribelli, solitari, invidiosi, incapaci di felicità.

Giochi solitari, inventati e costruiti da solo. Pochi adulti intorno, uno zio bravissimo a giocare a dama e sempre disponibile, un uomo che non rimprovera mai, che parla poco, una cugina carina e civetta, attesa sempre con grande gioia.

POSTILLA 2022

Ciò che vedo mio caro è forse l’incapacità di andare oltre il velo tessuto dall’adolescenza. Un velo che ha ostacolato la comprensione, la possibilità di vedere che cosa realmente c’era dietro quel risentimento, dietro la vergogna, dietro il senso di inferiorità. C’erano due persone che lottavano per vivere, per consentire ai propri figli di vivere una vita migliore della loro, con i loro strumenti, con le loro possibilità, con i loro limiti. Tutto ciò è emerso più tardi quando il rancore adolescenziale si è affievolito e, come la nebbia che si dirada, ha fatto emergere volti conosciuti che appaiono nuovi.


Oscillazioni

La ricerca finalizzata ad affrontare problemi non può procedere gradualmente, ma solo per balzi. Dobbiamo accettare anche tesi estreme, calarsi in realtà diverse e saperne uscire fuori, senza però lasciarsi coinvolgere fino in fondo, fino a perdere completamente il controllo. L’equilibrio è un punto ideale intorno al quale le oscillazioni continuano senza posa. Chi intende l’equilibrio statica mente muore intellettualmente e sentimentalmente. Solo chi è morto può pensare di vivere senza oscillazioni, senza buttarsi di qua, criticarsi, buttarsi di la, ritornare indietro, avanzare a tentoni. Non esiste un luogo dove possiamo fermarci e dire “Sono arrivato finalmente posso mettermi a guardare”. Anche quando sembra di essere giunti in un luogo del genere è solo per un attimo, subito l’oscillazione ci sposta e tutto ricomincia. Si può morire credendo di aver raggiunto un punto di equilibrio che ci consenta di non oscillare più.

1980

POSTILLA 2021

Oggi sono impressionato dall’energia che i giovani possono disporre per affrontare la loro vita. Ciò che tu trovi morto oggi lo chiamerei in un altro modo, forse saggezza, forse pacatezza. Certo questo spostamento del punto di vista è una conseguenza del diverso flusso di energia che distingue la gioventù dalla vecchiaia e nel dire ciò non posso non provare una punta di nostalgia e forse di invidia, anche se non sopporto il voler conservare quello che non esiste più, il voler essere ciò che non siamo, una tendenza oggi molto diffusa e selettiva. Mi chiedo però se è possibile che i due punti di vista possono individuare aree comuni. Forse la scuola mi dava la possibilità di tentare tale ricerca e, forse, è l’unica cosa che mi manca del mio lavoro.


Se dovessi definirmi

Non amo le autodefinizioni, ma se dovessi definirmi mi definirei come un erede della tradizione culturale liberale e democratica, come un cultore dell’individualismo borghese corretto dalle pressanti e concrete richieste di giustizia, di equità, di presenza di chances per tutti proposte dal socialismo. Un liberale, un democratico, un individualista che non trova risposta alle sue domande nella cultura liberale del passato, che sente in crisi i sui valori, ma che non vede nel socialismo e nel marxismo un’alternativa valida, ma solo uno stimolo pressante e soprattutto non vede alternative concrete.

Per una definizione completa però dovrei anche mostrare il rovescio di quella sopra indicata, dovrei definirmi un socialista punzonato dalle idee e dai valori del liberalismo e della democrazia. Se dovessi incarnare tutto ciò in un’immagine avrei bisogno non di una tela e di un pennello o di un una macchina fotografica che producono una sorta di spazio sicuro a due dimensioni, ma di uno spazio composto da decine di specchi riflettenti in cui l’oggetto sparisce e in cui riemergono solo i margini, immagini di immagini, l’una diversa dall’altra ma ciascuna legata all’altra in una sorta di caleidoscopio in continuo mantenimento.


Sentimenti

Non possiamo mai sapere da quale sentimento saremo dominati domani, né quale persona o quale evento susciterà quel sentimento. Siamo in balia del caos, possiamo solo vivere dentro il caos accettandolo e cercando di comprendere di seguire ciò che non possiamo né conoscere né dominare. Il mondo dei valori è indifferente al mondo dei sentimenti. La cultura non può cancellare il sentimento che appare inopportuno e che ci porta all’infelicità. Dobbiamo imparare a vivere nell’infelicità cercando angoli di serenità. L’angolo di serenità può essere tutto: la compagnia di un bambino, lo sguardo di una donna, un bel libro da sfogliare, la vicinanza del mare in certi suoi momenti quando non è preso d’assedio folle impazzite, una camminata in montagna, immersione nella folla folla della città o la solitudine, il silenzio delle cime, la scoperta di una bella melodia, lo sguardo attratto da un quadro o da una fotografia. La ricerca di ideali supremi, la lotta per la loro realizzazione non conducono alla felicità ma all’isteria, al fanatismo, alla cecità verso il reale e l’esistenza.

POSTILLA 2021

MI chiedo fino a che punto i sentimenti, le emozioni siano indipendenti dai valori e dalla cultura. Veramente siamo in balia dei sentimenti? Anche in questo caso forse siamo in presenza di un dialogo, di una tensione che costituisce l’anima della nostra esistenza. Ma forse è solo la differenza di età che ci fa dire le cose che diciamo ed è giusto che tale differenza rimanga. Forse semplicemente ad una certa età non siamo più in grado di vivere sentimenti talmente travolgenti da aver bisogno di rifugiarsi negli angoli di serenità.


Stupore

Sono intontito dallo stupore. Sto scoprendo che tutto ciò che avevo ritenuto certo, indubitabile, solido in realtà è incerto e labile. Sto scivolando nel magma fluido dell’incertezza assoluta. Una volta vedevo delle verità laddove ora non so neppure cosa cercare. Vedevo negli adulti, negli insegnanti, negli uomini che occupano “posizioni”, persone in cui avere fiducia. Vedevo nella cultura una base certa che avrebbe potuto consentire di possedere e dominare la realtà; mi sembrava impossibile vivere senza cultura e senza sapere. Tutto ciò oggi vacilla in un continuo rimescolarsi di ruoli e di valori. Devo trovare una strada per uscire da questo magma. Non credo più a niente oltre lo spazio di un giorno, di un’ora, di un minuto. Ho scoperto che le cose persistono e hanno un valore anche se messe a testa all’ingiù. Che possiamo vivere senza cultura e non sentirci esclusi o umiliati, anzi. Che si può non aver fiducia nella verità, nella certezza ed essere razionali, scrupolosi, onesti. Devo ricostruire un ordine oltre turbine, un ordine che comprende il turbine come proprio elemento.

1980

POSTILLA NOVEMBRE 2021

Leggo che senti di aver bisogno di ordine. Ma che cos’è l’ordine?

Il fisico Guido Tonelli, parlando della genesi dell’universo, spiega che il nostro universo, quello che chiamiamo ordine spazio-temporale, è il frutto di una fluttuazione quantistica del vuoto che ha scatenato l’inflazione cosmica e che ha dato vita al Big Bang. Il nostro universo ordinato nasce dal vuoto che non è il nulla, ma una sorta di caos, costituito da un magma caratterizzato da infinite e infinitesime fluttuazioni che si richiudono rapidamente, che io vedo come una sorta di pentola che bolle. Il nostro ordine spazio-temporale è immerso nel caos ed è il frutto di una fluttuazione si è espansa ad una velocità spaventosa in pochissimo tempo assumendo dimensioni enormi e dando origine sia allo spazio tempo in cui siamo immersi sia all’energia e alla materia che ci circondano e che consideriamo, a torto, eterne e solide componenti della realtà. La fisica, quindi, grazie alle sue teorie crea un ordine di secondo livello, quello della spiegazione che include il caos e l’ordine. Certo l’ordine della spiegazione della fisica forse è diverso dall’ordine che vorremmo, dall’ordine desiderato che trapela dalle immagini teleologiche teologiche che l’uomo si è costruito. Ma è un ordine anche quello della fisica, un’attribuzione di senso che coniuga ordine e disordine. La fisica è il frutto di un nostro bisogno, il bisogno di attribuire senso. Lo facciamo attraverso forme diverse di spiegazione, da quella narrativa quella paradigmatica, come dice Bruner. E l’ordine così creato è un ordine di secondo livello come quello che forse cerchi dopo aver scoperto il disordine che caratterizza la vita.

Sempre Guido Tonelli ha scritto un libro intitolato La nascita imperfetta delle cose. Noi dobbiamo convivere con l’imperfezione, anzi dobbiamo essere consapevoli che l’imperfezione non è un errore, un incidente di percorso ma, come dice Telmo Pievani, l’imperfezione è connaturata al processo evolutivo ed è bene che ci sia. Imperfezione e caos ci circondano, ma questo non vuol dire che siamo dominati dal caso, così come non siamo dominati dal determinismo delle leggi di natura. Aspiriamo o speriamo, o meglio ancora abbiamo sperato di vivere in un mondo ordinato che tende alla perfezione e invece abbiamo scoperto che non è così. Come dovremo imparare a convivere con questo terribile virus, il covid, che sta di nuovo dilagando, così dovremo imparare a convivere con il disordine sapendo però che abbiamo la capacità di tracciare nel disordine un sentiero che non conduce in un luogo da cui poter osservare tutto come se fosse un orologio, ma è il tuo sentiero, il frutto della fatica di vivere in un mondo in cui ordine e disordine, senso e caos, caso e norme convivono. È un po’ come un gioco basato sulle scatole cinesi. Dal disordine origina l’ordine ed entrambi vengono racchiusi in un altro livello di ordine, quello della conoscenza, della costruzione di senso che racchiude il disordine e l’ordine, un livello di ordine che non è del mondo. È un ordine che noi proiettiamo sul mondo, che ci appartiene come nostra costruzione, nostra immagine del mondo. Il mondo è indifferente rispetto a questo livello di ordine. Siamo noi che abbiamo bisogno di questo livello, ne abbiamo bisogno per poter vivere, per poter dialogare con il mondo senza subirlo passivamente. Il tuo stupore può trovare in questo ordine sia una risposta sia gli stimoli per rinnovarsi, perché lo stupore è necessario per vivere.