A ciascuno il suo

C’è chi produce idee per il progresso della scienza, della letteratura, della conoscenza e chi lavora per se stesso. Il primo è lo studioso in regola con la società, cui spettano i posti di rilievo, le onorificenze accademiche. Lo studioso tratta l’oggetto da studiare come un oggetto da sottoporre ad un lavoro meticoloso di analisi seria, impegnata, ma anche distaccata. La sua è una professione che la società nobilita, ma che non è diversa da quella dell’operaio che lavora per la macchina e per l’industria. L’ipertrofia di onorificenze invece illude l’intellettuale, l’accademico, e lo spinge a trasformare l’università e il sapere in un proprio dominio privato, cancellando la dimensione corretta del lavoro di insegnante, poiché anche il docente universitario lo è, o di ricercatore, la centralità dello studente e della sua formazione culturale e professionale da progettare e costruire, della natura cooperativa e sociale della conoscenza e del sapere. 

I secondi sono coloro che non riescono a distaccarsi con freddezza dall’oggetto dei loro interessi e partecipano, vivendo come proprio stato d’animo personale la loro avventura nel territorio sterminato del pensiero, delle idee, delle arti, alla costruzione del sapere e della cultura. Non potranno mai diventare accademici perché non sanno vendere i loro prodotti. Del resto, i loro prodotti sono poco vendibili. La loro cultura è spesso caotica, non organizzata. I loro pensieri, i loro meccanismi intellettuali sono più vicini agli informi pseudo concetti che Vygotskij assegna all’età infantile piuttosto che ai “veri e propri” concetti chiari, precisi stabili dell’età adulta punto, il loro è un pensiero che si dilegua facilmente ma anche si insinua nelle pieghe nascoste del pensiero cristallizzato, si dilata, si trasforma e trasforma continuamente ciò che sembra immutabile, duraturo, dandole nuova vita. 

Se spostiamo la prospettiva dai valori, o pseudo valori, accademici ai valori della produttività culturale intellettuale, vediamo che risultati importanti e duraturi sono da attribuirsi anche al pensiero caotico, irriverente, disordinato dei secondi; il loro è un pensiero mobile e la fissità può essere la morte del pensiero perché separa la vita dall’intelletto, la conoscenza dall’esperienza, la realtà dalla sua immagine prodotta dal sapere. Pensiero è fecondo solo attraverso lo scambio tra le aree della ragione e le aree della passione, tra il pratico e il teorico, tra la vita e la sua immagine riflessa nelle idee.  

Postilla agosto 2022 

Oggi sarei più prudente nel tracciare questa linea di separazione. Forse non passa tra le persone ma nei processi di produzione delle idee, del pensiero stesso, nel modo con cui esso si forma e viene utilizzato. Forse le persone si fanno trascinare da una parte o dall’altra spinte da correnti che si intrecciano, si sovrappongono. E tra i flutti forse è facile prendere le direzioni che richiedono meno fatica. Accademici e creativi non sono categorie statiche ma prodotti di scelte all’interno di un processo fluido in cui non è semplice distinguere ciò che è cristallizzato da ciò che è vivo. Arido e fertile si manifestano perché le persone coinvolte nel flusso si schierano e il loro schierarsi non è sempre prevedibile.

massimocec 1980


Un bel film western o un giallo

Che cosa separa il prodotto di valore dal prodotto che non vale niente? Non il contenuto né la forma. Un film western, un giallo possono essere ben fatti rispetto allo scopo e perciò sono bei film. La letteratura di evasione altrettanto valida di quella impegnata quando è ben fatta. Diversi sono gli scopi, diversi sono i metri per misurare il valore del prodotto. Fra loro i prodotti di categorie diverse sono incommensurabili. L’evasione, il riposo, il piacere, l’impegno, l’ansia, la ricerca rappresentano fini non eliminabili ma solo giustapponibili e prodotti studiati per soddisfare tali bisogni vanno giudicati in relazione allo scopo. La vita è un fluire di momenti eterogenei e i prodotti, gli oggetti che servono a vivere non possono che essere diversi. Ogni paradigma è arbitrario se non è strutturato regolato da uno scopo. Leggere Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, vedere un bel film western, un film di intreccio, un giallo non sono attività da riprovare, ma momenti di una ricerca fondamentale, la ricerca del piacere, dello star bene; solo se tale ricerca approda ad oggetti limitati, se la soddisfazione è esclusivamente legata ad un’unica serie di oggetti, allora tale attività diventa negativa, come diventa negativo se con tale attività si cerca il distacco non momentaneo dalla realtà.
Anche sul piano formativo dobbiamo adottare criteri basati sugli scopi. Gli aspetti repressivi non sono da considerarsi di per sé negativi. Uno degli errori della moderna pedagogia “puerocentrica” e della filosofia “negativa” è stato quello di aver sopravvalutato il ruolo dell’oggetto, dell’istituzione e di aver sottovalutato il soggetto e la sua capacità interpretativa, di scelta, di selezione. Il soggetto è in grado di capire lo scopo di un atto repressivo e quando tale atto eccede rispetto allo scopo. Non sempre il soggetto ha bisogno di un’ulteriore protezione come quella fornita dalla eliminazione dell’atto repressivo così come non sempre ha bisogno di una guida eterodiretta che inibisce le sue capacità di scelta. I bambini non vengono istupiditi dalla televisione o della pubblicità perché sono in grado di scegliere ciò che di un messaggio interessa loro o li soddisfa. Talvolta è utile riporre la morale nel cassetto delle cose inutili per lasciare spazio all’avventura e alla scoperta e nello stesso tempo talvolta è dannoso creare protezioni inutili quando è necessario intervenire con atti repressivi.

massimocec 1980

 

Postilla settembre 2022

Dietro le tue idee, che condivido, c’è però il rischio del relativismo. Quando si ammette che i valori non sono confrontabili il rischio è quello di pensare che la società sia costituita da tante isole e che non si possa navigare da un’isola all’altra. Occorre mettere in relazione ciascun mondo di valori con una dimensione universale ben sapendo che tale dimensione non ha un fondamento né scientifico, né logico, né filosofico, né epistemologico. Il giusnaturalismo pensava che i diritti universali dell’uomo fossero garantiti dalla nascita di ciascun essere umano, i genetisti pensano ad un fondamento basato sulla nozione di razza umana unica. Non basta sapere che esiste una razza umana unica per riconoscere a tutti i diritti fondamentali. In realtà i valori universali sono stati riconosciuti all’interno di un processo di socializzazione che ha comportato lotte, scontri, vittime, stragi, genocidi. Lo stesso è accaduto per altri valori quali la democrazia, l’eguaglianza, la libertà, la solidarietà. Il rischio quindi è quello di fornire strumenti per coloro che difendono ad oltranza l’identità e con essa la versione totalitaria della libertà. L’unico fondamento dell’universalità è etico e quando si parla dell’etica si tira in ballo il bene; ma io posso sempre domandarmi, con Georg Edward Moore, se ciò che riconosco come bene sia bene. Non ti sto fornendo una risposta né sto dicendo che non esiste una risposta, sto solo dicendo che quando si accetta la relatività, soprattutto dei valori, è necessario introdurre un’ulteriore variabile, quella della dimensione universale e della confrontabilità, una variabile che apre a nuove domande e produce una tensione che non possiamo e non dobbiamo né occultare né sottovalutare.