Pisa e il mare

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Vitali: Marina di Pisa

Quando penso al mio rapporto con il mare da bambino non posso non pensare che a Marina di Pisa.

E prima di ogni cosa al trenino rosso che tra i campi e la pineta mi portava al mare accompagnato da un fratello piccolo e da una madre che aveva passato la prima parte della mattinata a preparare una sorta di pranzo da consumare vicino alla cabina.

Ancor prima la casa che mia nonna, la mamma di mio padre, affittava durante l’estate e i giochi con mio cugino tra la cabine montate su palafitte, le corse di notte tra i pali di queste cabine, il nascondino con mia cugina e mio cugino, le passeggiate serali in pineta. Ma anche la strana paura che mi prendeva di fronte al cimitero dei tedeschi morti in guerra che si trovava proprio di fronte al bagno dove mia nonna ci portava al mare e dove affittava per un mese un’affascinate casetta di legno sulla spiaggia in cui vivevamo io e i miei cugini per un periodo di tempo che mi appariva come sospeso, altro rispetto al resto dell’anno, contrassegnato dalla presenza dei miei genitori, di mio fratello, della casa di tutti i giorni.

Ma le vacanze con mia nonna ebbero fine e iniziarono i viaggi giornalieri. Sempre a Marina di Pisa. E allora i ricordi vanno a quando al mare andavamo con i miei genitori con viaggi che si ripetevano tutti i giorni, al mattino e alla sera, ma soprattutto mi ricordo il viaggio della sera, l’attesa del trenino nella pineta, del filobus per tornare a casa, il rientro, la cena dopo il rientro, viaggi compiuti con strane camicette dai colori accesi con disegnate sopra figurine di animali, di automobili, cucite da mia madre o dalla sarta che veniva ospite a casa nostra per alcuni giorni in primavera per cucire i vestiti estivi e in autunno per quelli invernali. Con mia madre che aveva già predisposto pacchi di stoffe comprate al mercato. La delusione poi quando tolsero il trammino e lo sostituirono con uno squallido pullman che spesso arrivava da Tirrenia già pieno e ci costringeva ad attese lunghissime, fino all’arrivo della sera.

Quando ho letto l’articolo del mio amico Gabriele Santoni su un libro che parlava di Marina non ho potuto fare a meno di compiere un atto piratesco, di copia e incolla. È troppo viva la memoria di quelle immagini e delle emozioni che ad esse sono legate. Ringrazio quindi Gabriele e l’autore di Marina Magica di Fabiano Corsini, un “marinese” che ho conosciuto ad una cena marinara in un ristorante che non poteva che essere a Marina.

“Quando ho deciso di andare alla presentazione del libro di Fabiano Corsini “Marina magica” ed. ETS, era un pomeriggio inoltrato di fine novembre. Qualche giorno prima avevo incontrato Fabiano in Piazza Dante e mi aveva fatto vedere una cartina vecchia di Marina, spiegandomi in dettaglio dove era nato il paese. Proprio sulla bocca dell’Arno con il vecchio fortino e un gruppo di case intorno. – “La riprodurrà il Grassini”- aveva detto gongolante.

Mentre vado verso il mare,  sul viale, il vento mi pare incattivito più del solito. Sta facendo buio  e capisco che sto per andare incontro a una burrasca. In cima , in prossimità della rotatoria il cielo nero accentua l’oscurità. Non riesco a vedere nemmeno le ombre dei  retoni sulla destra che tanto mi garbano. Fermo l’auto e mi avvio a piedi verso il porto che non ho mai visto, se non di passaggio. Il rumore delle barche “sballottate” dal vento mi fa sobbalzare più volte. Non ho incontrato anima viva. Mi chiedo se avrò sbagliato data.

Arrivato nel luogo della presentazione non c’è nessuno, solo alcuni che preparano. Comunque pare che il libro si presenterà, ma è presto. Sono in anticipo. E allora decido di fare un giro. Ho tirato su il bavero del giaccone, dato due giri alla sciarpa, insaccato il cappello e via.
Sono andato sulla punta,  fin dove mi è stato possibile e lì ho rimesso a fuoco la cartina di Fabiano. C’ero nel mezzo, più o meno. A quel punto il vento fortissimo si è fatto compagno e il momento struggente.
Sono rimasto pochi minuti lì, da solo a guardare nel buio, ascoltando il mare e immaginando l’Arno che  spingeva controcorrente.
Tornato indietro mi sono accorto che avevo trovato il verso di fare tardi, ma ne era valsa la pena.
Nella sala ci sono ormai pochi posti disponibili. Decido di appoggiarmi al muro. Athos Bigongiali, che ha curato la prefazione, sta ritto in piedi davanti ad un leggìo. Parla di veglie, di mare, di ricordi, di un libro da ascoltare.
Al tavolo personaggi pisani che conosco bene. Carlo Grassini disegnatore e coautore del libro, Astore Ricoveri grande affabulatore, Renzo Castelli giornalista e profondo conoscitore della pisanità,  Sandro Garzella regista teatrale e scrittore visionario. Assieme a loro un fantastico musicista che fra i tanti strumenti suona e fa suonare anche una ruota di bicicletta. A un certo punto la famosa Arca di Noè di Sergio Endrigo diventa l’inno della serata magica. Fuori il vento continua a sbatacchiare e pare che vada a tempo anche lui.
In mezzo a tutti Fabiano  controlla la performance con lo sguardo soddisfatto di un adolescente.
Non avevo letto il libro, l’ho preso lì; non avevo nessuna idea se non qualcosa anticipato sul Fogliaccio, ma quel luogo, quella passeggiata in solitaria, il buio nel vento e soprattutto quella ruota di bicicletta vestita da strumento musicale mi hanno convinto della magia del libro. Chissà perché. Ho cominciato a sfogliarlo durante le chiacchiere senza resistere. E ho finito di leggerlo la sera tardi a casa.
Appunto, il libro. Piccoli, deliziosi acquarelli che si possono ascoltare accompagnati da disegni gentili dal tratto invadente. Fabiano ama la magia di Marina e ci trasferisce attraverso gli scritti la dolce inquietudine che quel luogo sprigiona. Non ama i turisti  si sa e lo dice spesso. Ha la testa girata all’indietro, lontana dall’invadenza, dall’effimero.  Si affanna con piacere  nella ricerca, nel ricordo, nell’ascolto, col mare sempre lì, davanti.
Parlare del tuo villaggio con fare nobile e provinciale come si conviene a un posto come Marina è un privilegio, uno stato d’animo, un omaggio.
Descriverne i personaggi, semplici  o famosi , le feste, la politica che si frantuma anche lì sugli scogli, permette di lasciare traccia, consente a chiunque di continuare a cercare. A tenere lo sguardo alto. Come i marinai. Perché chi sta davanti al mare guarda sempre lontano, anche nella foschia. Magari seduto sulla spalliera delle panchine girate.
E poi “l’idioma” del luogo, che in pochi capiscono. L’accenno alle cose, che consente a chi non sa di non chiedere, e qui sta  la forza. E le persone e gli episodi e i luoghi, citati senza bisogno di dettaglio, ma aiutati da una cartina antica,  riproposta come disegno da leggere.
E Ferlinghetti, e D’Annunzio, e Lischi e Cippai. Le famiglie delle case sparse, e la natura e i misfatti. E la voglia libertà che da sempre aleggia a Marina. Gli idrovolanti e una fabbrica come ingombro dello sguardo, e “diladdarno” e i pescatori, il fritto e le orate. E Livorno, laggiù, di cui si sentono gli odori. E dall’altra parte le montagne. Il bagno Gorgona e davanti le isole, punti di riferimento da sempre. Acquarelli appunto. Mai scolorati e impreziositi i da sana inquietudine.
-“E’ Stata una serata giusta per il libro- dico ad Athos Bigongiali, mentre lo riaccompagno verso San Giuliano.” Lui annuisce silenzioso. Insieme abbiamo raggiunto la mia macchina sotto una pioggia battente.“Eh sì è stato un bel momento, ne abbiamo bisogno di queste cose.” – dice Athos. Poi silenzio. Si vede che rimugina soddisfatto.—“Prepariamoci ad aggiungere ricordi a ricordi- dico sommessamente- ne avremo bisogno , mentre navighiamo verso l’indistinto.”
Questa  “Marina magica” vale davvero una veglia notturna.
Gabriele Santoni”

massimocec febbraio 2012