Scanno

GALLERIA

Henri Cartier Bresson, Scanno 1951

Sono arrivato a Scanno quasi per caso in un tardo autunno di alcuni anni fa. Avevo con me una piccola macchina digitale Canon e non sapevo ancora che la passione per la fotografia mi avrebbe preso entro breve tempo. Non sapevo neppure che Scanno era il paese dei fotografi, che aveva una storia fotografica così illustre. Ero lì per altri motivi con la mia inseparabile compagna dei miei pochi viaggi.

Non avevo mai avuto un rapporto facile con la fotografia nel senso che cercavo di evitare di fare foto, mi sembrava che portassero via tempo al rapporto con le cose e con le persone. Forse anche perché l’età ancora non mi richiedeva un supporto alla memoria, il bisogno di un aiuto per i ricordi. Stranamente però a Scanno scattare foto sembrava facile, ad ogni strada la città sembrava offrirsi, invitare a scattare. Anche la mia compagna fu presa da questa misteriosa passione e si mise a scattare. Io passai un’intera mattinata a fare fotografie, in parte tralasciando il motivo per cui ero lì. Le strade, le porte, le piazze, i tetti mi guardavano con occhio ammiccante. E tale invito ha lasciato una traccia perché una volta tornato a Pisa mi sono messo a cercare qualcuno che mi insegnasse a fare fotografie e ho trovato Bob.

Certo Scanno non è più il paese fotografato da Giacomelli alla fine degli anni Cinquanta, il paese che invitava a scattare foto perché secondo il fotografo marchigiano:

“Scanno è un paese da favola, di gente semplice, dove è bello il contrasto fra mucche, galline e persone; tra strade bianche e figure nere, tra bianche mura e neri mantelli. Ho cercato di fermare alcune di quelle immagini, per dare anche agli altri l’emozione che ho provato di fronte a un mondo ancora intatto e spontaneo. Ho fatto tutte queste foto con una velocità bassa, perché le immagini venissero un po’ mosse, per rendere magico questo mondo. Ho sbiancato i fondi annerendo le figure, ed ho creato spazi vuoti utilizzando i grigi per mantenere l’equilibrio dell’immagine. La foto più nota è quella delle donne scure e mosse che sembrano ruotare come se fossero la medesima figura ed il bambino che viene verso di noi restando a fuoco ed apparentemente fisso in mezzo a loro”.

Giacomelli stesso dopo quaranta anni è tornato a Scanno e non ha scattato nemmeno una fotografia perché non è più riuscito a vedere il contrasto tra i bianchi e i neri, non c’erano più i neri delle vesti delle donne e dei vecchi che erano stati il principale soggetto delle fotografie degli anni Cinquanta. Ma come tutte le cose che hanno una storia, un certo fascino si è conservato. Rimangono le stradine, le case e qualche donna che gira ancora con il costume tradizionale anche se forse oggi lo fa per i turisti. E il turismo non mi interessa. Forse ha ragione Vaccari. Non occorre andare a Scanno oggi per fare “buone” fotografie. Quello che occorre è seguire un’idea, una propria idea. E forse non è neppure necessario puntare a fare “belle” fotografie ma solo a guardare la realtà con occhi curiosi, aperti ai suggerimenti che possono provenire da mille fonti e a scartare il trito preparato da presunti esperti per evitare la fatica della ricerca, il preconfezionato.

marzo 2012 massimocec