1° maggio ai tempi del covid

Giovedì 30 Aprile. Esterno giorno. Mattina. Esco bardato con doppia mascherina in piazza Italia fino all’edicola dei giornali. Doppia fila lungo la piazzetta davanti al negozio di tabacchi e davanti alla bottega di alimentari. La gente rispetta le distanze, chi si siede sulle panchine e approfitta dell’attesa per fare due chiacchiere con la mascherina. Saluto con un sorriso come di solito facevo, mi rendo conto però che non posso più farlo perché nessuno se ne accorge. Per me è difficile, abituato come ero ai contatti fisici, anche nelle conversazioni. Bisogna che impari a salutare con la mascherina, un gesto con la mano o il classico buongiorno a voce alta.

Fila relativa alla Posta. Conversazione a debita distanza. Qualcuno ce l’ha con chi ci tiene reclusi. Una ragazza spigliata gli risponde: lo fanno per proteggere la nostra salute. Un signore dice: povera Italia. Io aggiungo: povero mondo. Lui ribadisce: macché mondo, povera Italia. Faccio la figura del solito buonista. Si entra due alla volta, è il mio turno, saluto l’impiegato gentilissimo, ha una grande mascherina, mi chiedo come farà a indossarla tutto il giorno. Breve attesa, pensierino: siamo tanti, tutti sulla stessa barca e la barca non ce la fa più. Pago il bollettino, saluto ed esco. Si fa presto l’ora di pranzo e a tavola ci si racconta la didattica a distanza, ormai in famiglia la chiamiamo DAD, che è più faticosa senza la DIP, la didattica in presenza, manca lo scambio, la costruzione delle conoscenze attraverso le relazioni, poi capisco il concetto di scaffolding, poi è difficile valutare gli studenti e poi mi guardano e mi dicono: buon per te che sei in pensione. Che più che altro vuol dire: i piatti li lavi tu.

Pomeriggio. Esco in giardino e sento un cattivo odore. Chiamo mio cugino Raffaele e gli propongo di aprire i tombini e ispezionare la fognatura per non trovarci nella festa del 1° maggio come il 25 aprile a stasare i tubi. Apriamo i pozzetti sifonati, sono super intasati e un paio sono senza tappi, quindi è uscito lo sporco. Che palle! Proviamo a far da noi con sondini e getti d’acqua. Niente! Ricordiamo che la scorsa estate ci è successa la stessa cosa, chiamammo una ditta privata a pagamento per la stasatura, ma fu inutile, capimmo che dipendeva dalla fognatura pubblica e chiamammo Acque. Dopo questa esperienza non perdiamo tempo e denaro e telefoniamo al Pronto Intervento di Acque specificando che è opportuno un camion piccolo, perché il problema va affrontato da viale Boboli, che è pedonale. Segnaliamo il problema e in nota facciamo aggiungere che è necessario curare di più la manutenzione per evitare che si ripresenti a breve. Dopo neanche un’ora arriva il camion piccolo, gli operai fanno alcune ispezioni in via Belli, poi sollevano il coperchio metallico di via Boboli con uno strumento a calamita ganzissimo e finalmente stasano. Guardiamo a distanza, sempre con le mascherine, risolvere velocemente il problema. Chi sta da quelle parti non se n’era neanche accorto, noi del nostro condominio, che in realtà è un “conparenti”, siamo gli ultimi di questa rete di fognatura e i primi a subire l’intasamento. Torniamo in giardino felici di veder calare i livelli dei nostri tubi. Ma a chi tocca pulire intorno?
Giornata movimentata: tra 1000 e 1500 passi, non sono stato a contare.

Venerdì 1 Maggio. Esterno giorno, giardino. Piccola brace in famiglia: verdure grigliate qualche pezzetto di rosticciana e bistecchine di maiale e manzo. Problemi con i legni utilizzati, sono troppo freschi e fanno fumo. Mia sorella leva alla svelta i panni affumicati, meno male nessun altro aveva steso il bucato. Pranzo ritardato. Nell’attesa mi torna in mente una pagina di un libro di Vittorio Foa, padre costituente, dirigente politico e sindacale che si era fatto 8 anni di carcere duro per le sue idee antifasciste che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere almeno in qualche occasione, che mi ha sempre colpito. Ricordando uno dei suoi “tanti Primi Maggio trascorsi in galera”, Foa disse che erano “di festa e di lotta” perché “giorni di fede combattiva nell’avvenire”. Quando lo scrivo vedo la sua faccia allegra e sento le sue parole con i “neh” del torinese parlato che me lo rendevano molto simpatico.

A fine pranzo racconto di quella volta che andai in comune a rinnovare la carta d’identità e l’impiegato che mi conosceva mi chiese: professione? Ero appena laureato, facevo qualche supplenza in qua e là, ma soprattutto stavo in casa e facevo un po’ di faccende perché i miei lavoravano. Risposi: casalingo. L’impiegato: dài, non mi prendere per il culo, non c’è casalingo nelle opzioni del programma del computer. Io avevo detto sul serio, ma lui non mi accettò “casalingo”. Poi scrisse: insegnante. E io gli proposi un ragionevole compromesso: no, faccio solo delle supplenze, aggiungi precario. Lui lo aggiunse. Conclusione: penso di essere stato il primo ad aver scritto sulla carta d’identità “professione: insegnante precario”. Risate. Allora è colpa tua se c’è il lavoro precario! Vai, casalingo! E si alzano tutti da tavola.

Mentre lavo i piatti dedico il mio personale primo maggio a tutti i casalinghi e le casalinghe d’Italia. La dedica mi consola. Anche confinati, è stato un buon Primo Maggio (i piatti da lavare erano pochi). 578 passi.

Sabato 2 maggio. Solita piazzetta, mezzogiorno. Ancora le due file davanti al tabacchi e all’alimentari. Esco e metto fuori il secchio con l’organico. Un amico in fila mi avverte: non lo lo ritirano. Tolgo il secchio, vado a prendere il calendario del porta a porta, ricontrollo le date, esco di nuovo con il secchio marrone in mano e leggo ad alta voce, con la mascherina: “L’organico non raccolto il 1 maggio sarà recuperato il 2 maggio nel pomeriggio”. Poggio a terra il secchio e rientro fiducioso in casa, così fanno anche gli altri residenti in centro.

Sera. Guardo dalla finestra la piazza vuota. Cazzo, siamo 8 miliardi di umani e fuori c’è solo un bidone marrone pieno di spazzatura. Lo rimetto in casa. 315 passi.

Domenica 3 maggio. Mattina. Il sole sorge alle 6,07, tramonta alle 20,24, il culmine è alle 13,15, il giorno dura quattordici ore più diciassette minuti. Ho finito di scrivere. Sono uscito a prendere i giornali. Ora torno a fare il casalingo in attesa della fase 2. Allego a questo diario una foto di mia figlia Laura: Conversazioni al tempo del Covid. Mi basterebbe la metà dell’ottimismo di Vittorio Foa. 123 passi.

odellac luglio 2020