Milena Moriani

Milena Moriani (1934-2018) ha esposto quadri e sculture in numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero; le sue opere sono in collezioni pubbliche e private italiane e negli USA, in Brasile, in Canada, in Francia, in Belgio, in Germania, in Svizzera, in Russia.

La sua pittura difficilmente imbrigliabile in una limitata definizione, si muove dal figurativo al disfacimento astratto che ancora mostra dei segni riconoscibili dell’esistenza delle cose.

Dal colore al bianco e nero, dal disegno alla pittura, all’acquarello, olio e qualsiasi possibilità di marcare il segno, di visualizzare il segno. Crea le sue opere con immaginazione, ricordo, poesia, mescolando ogni sensazione con il coraggio dell’artista che non ha confini temporali, poiché si permette di esprimere ciò che vuole e nello stesso momento assolutamente moderna e antica nel far passare sulla tela il suo sguardo sulla vita.

Le dimensioni delle sue opere variano dal più piccolo bottone, sassolino, pietruzza a quadri di 4, 6m… fino a 20 metri.

A Milena Moriani,

guardando alcuni suoi video, con un dolore al cuore

Cara Milena,

dovrai scusarmi, non ti ho salutato quando sei partita. Pomeriggio d’inverno. Sono stato avvisato in ritardo, sono corso alla Pubblica Assistenza, ma un impiegato mi dice: è già tutto finito.

C’è da rimanere perplessi e ammirati di fronte alla vastità e alla bellezza dell’opera di Milena Moriani. Ci penseranno i critici d’arte. Mi limito a queste storie molto semplici, scritte per gratitudine.

Ricordo innanzitutto Il carretto, il monumento alla Resistenza in Piazza delle lavandaie ad Asciano. Nel novantacinque Milena Moriani ha pensato di raccontare la lotta dei nostri partigiani con l’immagine di un carretto delle lavandaie che porta fucili, pane e castagne (in bronzo) e un fagotto con le cocche annodate (in pietra). Milena Moriani ha inventato un mondo di colori e di sogni, ora vorrei ringraziarla per quel carretto, per il quadro dell’amore perduto. E per quel suo modo lieve e sognante di stare al mondo con i piedi ben piantati per terra.

Primo, le mani

La mano traccia il bozzetto, prima un fucile, poi il carretto… lei aveva molte idee, era difficile rincorrere tutte le idee che aveva lei…. la mano corre veloce sulla carta, insomma non saprei come spiegare, erano mani robuste… non so a chi appartenessero prima che a lei quelle mani robuste… lei impugna con la destra il lapis, con le dita della sinistra tiene il foglio… lei aveva delle idee semplici, di un’eleganza spontanea, lei aveva una grazia raffinata, ecco, una grazia sobria e precisa, penso, allora un metro e novanta sarebbe la lunghezza del carretto e le ruote ora le porta laggiù… mamma mia mi sento struggere… diceva lei… dal marmista, in fonderia… mamma mia, ragazzi, quanto pesa una ruota del carretto… magari una ruota si rompe… non si rompe, non è mica di vetro… succede qualcosa, una ruota si sgonfia… sèè, si sgonfia, si buca… e ride… questo ci va saldato, il carretto, non troppo lucido, se no perde la gentilezza del legno, diceva lei… lei prepara il terreno per il carretto in modo che dalla strada si veda meglio … ecco il carretto è pronto, non è tinto, diceva: mi piace che vibri un po’, no? Il sacco va là, i fucili devono essere due, io li metterei così… Ma quanto pesa? Una tonnellata, lui pesa quasi un quintale, questo marmo, e il resto è sette quintali e mezzo, insomma… Onore ai caduti.

Secondo, il quadro

Si intitola L’amore perduto. Lo andai a prendere a nome del Comitato pisano Acqua bene comune a cui Milena Moriani, insieme ad altri artisti, lo donò a sostegno della campagna referendaria. Ebbi il privilegio raro di incontrare una personalità geniale nel luogo dove lavorava. Entrai nel suo laboratorio, nel suo studio con grandi tele appese e i barattoli pieni di pennelli. Pomeriggio di primavera, ricordi sbocciavan le viole… lei generosa, come sempre, disse: prendi quello che vuoi. Dalla ricchezza dell’insieme dei dipinti presenti nello studio, per non chiedere troppo, mi sarei aspettato un quadro piccolo. Mi capitò invece tra le mani un grande quadro in cui il volto bianco e sospeso di una donna di profilo è accompagnato a quella che ai miei occhi pare un bambolotto blu. I toni azzurri, bianchi e rossi sanguigni prevalgono, ma quello che colpisce è la figura della donna persa nel sogno, lontana dalla realtà, ma riportata nel presente. Ancora oggi quel quadro non riesco a leggerlo bene nel profondo, ma è questa la prova del suo genio, un genio tutto suo, quello di voler essere sé stessa fino in fondo: Milena Moriani.

Terzo, i piedi

Lei si muove sempre con grazia accorta, si avvina alla tela con le scarpette e i calzini rossi, il corpo leggermente piegato in avanti, due passetti indietro e ancora avanti… come se fosse una ballerina. Dipingere presuppone stare in piedi, e lei stava in piedi, a dipingere, la tela sul cavalletto e lei in piedi, la tela poggiata per terra e lei ancora in piedi, piegata a colorare, finché un giorno a passetti leggeri è uscita dal suo studio, ma che dico studio, magazzino, atelier, laboratorio, ecco un giorno è uscita da quel luogo dove lei dipingeva e se ne è andata, a piedi, incontro ai colori che rincorreva per stare dietro alle sue mille idee.

Tutto finito, dunque? Perché la vita finisce è tutto finito?

A questo punto mi viene in mente il volto di Milena Moriani, sospeso, bianco, di profilo, accanto a un bambolotto blu, con un velo di azzurro e di bianco, circondati da macchioline azzurre e rosse, rosse come dei pesciolini che nuotano in fondo al mare.

Lei lascia i suoi quadri in punto sicuro e alto della pittura italiana e lascia i pennelli nel suo studio, in un barattolo, infilati a testa all’insù, come se fossero un mazzo di fiori.

 

Ovidio Della Croce, mercoledì 19 gennaio 2018