Luminaria a Pisa

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La Luminaria Pisana non mi ha mai affascinato. L’ho sempre vista come una gigantesca e caotica fiera paesana imposta da una tradizione che si vuole conservare per fini politici e commerciali più che legata a una tradizione che continua a vivere. Ho deciso di inserire però le foto di questo evento per me poco significativo dedicandole ad una particolare Luminaria, la Luminaria dello scorso giugno vista dalle finestre e dal terrazzo della British School che ha sede proprio sul Lungarno a fianco del Ponte di Mezzo, tra il Ponte di Mezzo e Piazza della Berlina. La dedico alla scuola perché purtroppo oggi essa è chiusa, devastata dal fuoco di un incendio che ne ha distrutto i locali.

Ogni anno, la sera del 16 giugno, vigilia di San Ranieri, santo patrono di Pisa, una guarnigione di giovani assoldati dal Comune accende migliaia e migliaia di lumini infilati in piccoli bicchieri di vetro incastonati in cornici di legno pitturate di bianco e appese alle finestre di tutti i palazzi che si affacciano sui lungarni, riprendendone le linee essenziali.  Il tutto condito con uno spettacolo di fuochi artificiali finali. La gente arriva a frotte fin dall’imbrunire. I lungarni si riempiono di migranti tanto che è possibile spostarsi solo seguendo la corrente della folla e spingendo. Non fa per me, perciò ho accettato volentieri l’invito di guardare lo spettacolo dall’alto, su un terrazzo al riparo dalle masse.
Ho frequentato le stanze della British per anni nel disperato tentativo di far sì che incomprensibili suoni con una musicalità esotica diventassero per me anche portatori di significato. Spesso durante le lezioni mi è capitato di guardare fuori dalle finestre della British, interrompendo la mia lotta personale con i suoni ostili che uscivano dalla bocca del mio giovane insegnante per lasciarmi catturare dal fascino di un fuori che rappresentava la leggerezza del disimpegno, il dolce abbandono che si prova passeggiando sui lungarni nelle serate primaverili o autunnali o nelle notti estive così avvolgenti da un punto di vista scenografico. Passeggiare sui lungarni talvolta dà l’impressione di essere dentro una fotografia, un’immagine evocatrice di sensazioni, di emozioni, di ricordi. Le finestre della British mi spingevano a queste fughe quando lo sforzo per comprendere diventava quasi insostenibile.
Ho varcato moltissime volte il portoncino rosso che si apre sull’angusta via Rigattieri per entrare nelle stanze della scuola, ciascuna intestata a uno scrittore di lingua inglese con il nome scritto con caratteri eleganti sulle porte a vetri, con un vago senso d’inquietudine misto all’attesa: “Stasera cosa accadrà? Di cosa riuscirò a parlare?”.
Nonostante le mie sensazioni, la scuola è una sorta di isola accogliente, una finestra che si apre su un altro mondo abitato da persone gentili, ospitali, curiose e sollecitatrici di curiosità. Il mio insegnante, Thomas, è uno di questi abitanti, un giovane londinese che materializza una certa idea degli inglesi, quella dei giovani che non si lasciano incastrare dalle regole e dalle richieste della società, senza però per questo diventare rivoluzionari. Thomas sembra aver trovato una sorta di equilibrio interiore che gli consente di negoziare con il mondo che lo circonda soluzioni che riescono a soddisfare i suoi bisogni senza doversi sottomettere ad un’offerta che somiglia a quella della fiera paesana di cui parlavo prima  e senza doversi trasformare in un ribelle. Con lui talvolta ho l’impressione che i ruoli legati alla differenza di età si rovescino, che il saggio sia il più giovane.
Anche il direttore della scuola,  John, marito di una mia carissima amica fin dai tempi dell’università, Antonietta, materializza un’ idea che qui da noi circola sugli inglesi e sul loro modo di essere. È un’idea molto diversa da quella incarnata da Thomas. John è signore elegante, compassato, gentile, apparentemente imperturbabile con un accento inconfondibile nonostante la lunga presenza in Italia. Sono loro, John e Antonietta, che la scorsa estate mi hanno invitato alla festa della British School in occasione della Luminaria. Sono loro lui che mi hanno spinto a mettere da parte le mie riserve e a farmi coinvolgere dal misurato  ma accogliente clima festaiolo degli ospiti e degli abitanti della British School.

La festa era come mi aspettavo. Potevi tranquillamente pensare di essere dovunque. Nessuno ti obbligava a partecipare. Mi ero portato la macchina fotografica con la speranza di catturare qualche immagine. Durante la serata all’improvviso si è alzata sullo sfondo dalla parte opposta al mare  un’immensa Luna rossastra che non avevo mai visto prima, una Luna fuori dal comune che si è affacciata dietro gli alberi del viale della Piagge, forse per curiosare, per dare una sbirciatina a quello che stava accadendo sui lungarni, e piano piano si è piazzata nel centro del cielo proprio sopra il Ponte della Fortezza addobbato come una chiesa gotica, stranamente però senza il pudore che in genere accompagna questo elegante e silenzioso astro notturno, anzi con una sfacciataggine giustificata soltanto dalla altrettanto sfacciataggine della serata che si stava svolgendo lungo l’Arno. Quando i registi della festa hanno dato il via alla parte più pacchiana della serata, quella dei fuochi, ho cercato, insieme al mio amico Ovidio, più intraprendente di me, di catturare qualcosa di quegli artifici pirotecnici che una volta affascinavano le folle e che oggi si continuano a proporre senza più nessun alone di meraviglia. È stato difficile  forse perché gli inglesi e chi vuol imparare l’inglese tende ad avere una statura sopra la media e obbliga chi rimane in seconda fila a trovare espedienti se vuole fotografare. Qualcosa però è rimasto nella memoria della macchina e nella memoria di chi ha vissuto la serata come ospite di questa accogliente isola spersa nel mare di una pisanità inafferrabile, ondeggiante tra l’inquitudine e la calma piatta, tra lo spirito d’accoglienza e il rifiuto dell’altro.
Oggi la British è chiusa, danneggiata dalle fiamme, in attesa di poter riprendere ad accogliere le persone che vogliono trasformare la musicalità dei suoni della lingua inglese in idee, significati, strumenti per comunicare, senza perdere il fascino della dimensione sonora di questa lingua. La Luna enorme, rossastra della sera della Luminaria si è ritirata, ma spero di poterla rivedere presto da quei terrazzi nel suo abito bianco, elegante adatto alla grazia di chi anima la British. Chi per anni ha lavorato in questa scuola ed è riuscito a dar vita ad un luogo come questo non può essere abbandonato dalla Luna.
Ho deciso di dedicare alla British questa pagina dopo aver letto sul sito della Voce del Serchio l’accorato appello di Antonietta, moglie di John, che riporto come testimonianza di sentimenti che condivido .

“Tra i pensieri in libertà inserisco anche questo relativo al ‘rogo’ che ha divorato la British school di Pisa. Lo sapevate che tra le donne nere che silenziose tendono la mano per il pudore di chiedere, gli uomini che per la disperazione di aver perso il lavoro a 58 anni si danno fuoco, ci sono i fuochi forse meno tragici, ma ugualmente apocalittici , che distruggono e volatilizzano anni di lavoro, ricerche, traduzioni, impegni, che trasformano in fumo che sale sui lungarni pisani, testi antichi in originale, speranze, investimenti di energie vitali. Poveri tutti coloro che rimangono vittime del fuoco, elemento affascinante , ipnotizzante, ma altamente e inesorabilmente distruttivo. Senza possibilità di appello.
Si sa che le catastrofi naturali, accidentali arrivano laddove l’uomo non ha il coraggio di arrivare.Il fuoco purifica, sterilizza e costringe a ‘ripartire da zero o forse da tre’.
Prima però di arrivare ad assaporare la conseguenza purificatrice del fuoco esiste il tempo del dolore , della preoccupazione e della rinuncia. Adesso lo staff della British School of English di Pisa, scuola storica che esiste a Pisa da più di trenta anni, vive il proprio calvario. I direttori e gli insegnanti si aggirano tra le macerie cercando di ricostruire, di far rivivere con respiri di speranza, i fermenti di attività che ruotano attorno ad una istituzione cittadina , piccola ma forte.
Credo che la loro sofferenza meriti una stretta di solidarietà”

massimocec aprile 2012