Finzioni e nascondimenti

Fotomontaggio di Massimo Ceccanti da foto Comics Lucca 2012

L’immagine riprodotta in questa pagina è chiaramente un fotomontaggio. L’incontro delle quattro maschere in una serata di luna piena non è mai avvenuto. L’immagine è quindi la creazione di una realtà artificiale che si sovrappone ad un’altra realtà  altrettanto artificiale, la realtà creata dalla rappresentazione fotografica delle quattro maschere fotografate in una giornata festiva dedicata ai Cosplay a Lucca che si è conclusa con una serata di luna piena che la macchina ha catturato. Photoshop e Bob hanno fatto il resto. Non considero questa immagine una vera e propria fotografia ma piuttosto una rappresentazione di un’idea, la materializzazione di un’immagine mentale nata attraverso i meccanismi dell’associazione, più vicina alla pittura che alla fotografia. Cambiano solo i materiali. Niente pennelli, niente tela, scarsissima o nulla capacità di lavoro manuale ma un pc, Photoshop e alcune foto.

Scopo dell’immagine qui riprodotta è  quello di entrare in una sorta di gioco, il gioco dell’illusione, dell’immaginazione utilizzata per creare qualcosa che ha un senso e si riferisce alla realtà anche se non sotto forma di rappresentazione speculare (in altri tempi avremmo potuto dire analogica senza timore di cadere in contraddizione). Non c’è alcuna volontà di ingannare, di far credere agli altri che l’incontro tra le quattro maschere sia veramente avvenuto. Eppure, nonostante ciò, l’elemento di verità si può percepire perché io leggo nella foto alcune idee che sono le mie idee, idee che mi affascinano e che vorrei comunicare. La prima idea è legata alla possibile sfida che la ragazza lancia nei confronti dei tre personaggi che si presentano come impedimento, come presenza aggressiva. Di fronte a loro la ragazza ride e non si fa intimorire dai tre loschi figuri che vogliono sbarrarle la strada. La notte che si avvicina crea un contesto di mistero, di inquietudine che comunque non fa paura alla ragazza avvolta da una sua luce. La ragazza è sicuro di sé e sfida l’avventura. Forse rappresenta un mio sogno aspirazione, il sogno di vivere senza farsi sopraffare dalle paure, dalle ansie anche quando la sera sta arrivando minacciosa; forse più prosaicamente e più realisticamente, senza scomodare la psicanalisi o la psicologia, rappresenta soltanto l’inizio di una storia che vorrei raccontare ma mi manca il tempo e sono schiavo della pigrizia. La fotografia in questo caso aiuta, sintetizza pagine e pagine.

Quello che avevo in mente era evidentemente una sorta di rappresentazione teatrale in cui si mischiano fotografia, maschere, spettacolo, scenografia, regia. Le immagini fotografiche recitano la loro parte sotto la regia di un personaggio che le manovra, le sottomette alla propria volontà e le usa per i propri scopi. Nella fotografia vera e propria ciò non può avvenire. La fotografia è una forma di espressione che da un lato si avvicina alla pittura, al teatro, alla letteratura, dall’altro però ne prende le distanze. La fotografia tradizionale mantiene un contatto inscindibile con il reale, un contatto che non è costituito dalla rappresentazione ma dal legame tra la foto e il soggetto fotografato, il legame della luce che lega questi due elementi come una catena. Il fotomontaggio consente di rompere la catena e aprire le porte al senso del possibile.

Il filo conduttore che lega immagine creata, maschera e teatro è quello dell’illusione, della creazione di un mondo intermedio, come lo chiama Alfonso Iacono nel suo libro L’illusione e il sostituto, che da un lato fa riferimento alla realtà e dall’altro alla consapevolezza che tale mondo non sostituisce la realtà. L’illusione è molto diversa dall’inganno e dall’allucinazione, dalla cancellazione deliberata, intenzionale della differenza tra mondo intermedio e realtà, dalla cancellazione che ha come scopo far credere agli altri ciò che si mostra coincide o è la realtà come avviene con l’inganno, oppure dalla cancellazione involontaria della differenza tra medium e realtà  propria dell’allucinazione. Nell’allucinazione e nell’inganno il soggetto crede di essere di fronte alla realtà quando è invece di fronte ad una rappresentazione della realtà. La fotografia è uno strumento per creare illusioni in un modo diverso da quello del teatro o del fotomontaggio; anche la fotografia rappresenta aspetti della realtà senza che essi si sostituiscano all’oggetto rappresentato. L’oggetto fotografato non è il sostituto dell’oggetto reale ma è un nuovo oggetto che ha proprie caratteristiche. Nello stesso tempo però la realtà, l’oggetto da cui proviene l’immagine nella fotografia rimane elemento necessario e ineludibile affinché si possa parlare di fotografia, non può essere solo un riferimento senza somiglianza come avviene in altri contesti.

Gombrich nel suo testo “Arte e illusione” suggerisce che l’arte occidentale si sia sviluppata intorno a un nucleo fondante che coincide con una forma di inganno. L’arte occidentale a partire dall’arte greca fino all’epoca contemporanea è un’arte il cui scopo principale è quello di illudere, ma illudere nel senso dell’ingannare, nel senso di far avvicinare il più possibile la copia all’oggetto rappresentato. In questo senso la fotografia sarebbe l’arte per eccellenza, ma è evidente che non è così. La fotografia non può fare a meno del soggetto reale, ma non può neppure sostituirsi ad esso e non è neppure il suo doppio. È un’altra realtà, un oggetto che ha una sua vita pur mantenedo un solido legame con la realtà. L’illusione creata dalla fotografia è un’illusione basata sulla somiglianza, ma è pur sempre un’illusione, cioè la creazione di un mondo intermedio basato sulla consapevolezza della distinzione. È un’illusione perché anche la fotografia crea un mondo intermedio, un nuovo mondo, ma lo crea attraverso una traccia visiva del mondo reale, una traccia analogica anche se la fotografia è stata scattata con macchine digitali.

La tecnologia ha potenziato a tal punto la possibilità dell’inganno mediante la verosimiglianza che oggi siamo più portati a credere che ciò che è fotografato è reale. In tale ottica l’immagine è produttrice di realtà nel senso della sostituzione all’oggetto reale. Ancora di più questo effetto è potenziato dal fatto che le immagini giocano un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà così come la viviamo. Umberto Eco sottolinea in più articoli che noi non vediamo mai direttamente la realtà, ma la vediamo sempre attraverso dei filtri, delle immagini “già viste” che costituiscono la lente attraverso la quale viviamo la nostra vita, le nostre esperienze. “L’umanità non ha mai fatto altro, e prima di Nadar e dei Lumiére ha usato altre immagini, tratte dai bassorilievi pagani o dalle miniature dell’Apocalisse” (Espresso maggio 1977). Tali filtri sono costituiti dalla nostra cultura e delle nostre immagini mentali. Questi filtri servono per dare un senso alla realtà, per interpretarla non per cancellarla o sostituirsi ad essa. Se si perde il dialogo tra cultura e realtà si cade nell’allucinazione e nell’inganno. Il filtro della fotografia è uno strumento importantissimo per dilatare la nostra capacità di vedere, per dare un senso a ciò che vediamo, per riuscire a orientare lo sguardo verso l’osservazione e la comprensione attiva nella realtà. Fotografare vuol dire ritagliare nel flusso della percezione caotica del reale un ambito in cui gli elementi entrano in relazione tra loro e producono senso. L’illusione della fotografia è di questo tipo. La fotografia dilata le esperienze e consente di andare oltre ciò che semplicemente passa davanti agli occhi.

Anche il teatro, la letteratura, la pittura costituiscono strumenti per vivere esperienze che la vita reale non ci consente di fare, per comprendere le nostre esperienze. Tali esperienze non sono mai forme di allucinazione perché quando leggiamo un romanzo o assistiamo a un’opera teatrale cediamo all’illusione mantenendo sempre viva però la consapevolezza del cedimento. Con la fotografia il cedimento è più forte e il pericolo dell’inganno più invasivo proprio per le caratteristiche del modo con cui si crea l’illusione con la macchina fotografica. Il fotomontaggio amplifica poi tale pericolo. Il fotomontaggio però è lecito quando non vuole ingannare, non vuole far creder che quella rappresentata è una scena reale ma vuol comunicare un’idea, una emozione. Lo fa non attraverso la fotografia ma attraverso un’icona, una rappresentazione teatrale e per questo è più evidente il suo carattere illusorio, anche se siamo lontani dal tipo di illusione che si crea con lo spettacolo teatrale, con la maschera. Lo spettacolo teatrale o la maschera hanno bisogno di una collaborazione notevole dell’immaginazione perché si basano su riferimenti senza somiglianze, sulla necessità di completamento da parte dell’immaginazione. Solo la migliore fotografia riesce a raggiungere tale livello di illusione, la capacità di evocare senza duplicare.

Alfonso M. Iacono: L’illusione e il sostituto. 2010

“Quando assistiamo a uno spettacolo teatrale, siamo invitati a supplire con la mente alle lacune della finzione scenica. Da un lato ci abbandoniamo all’illusione, dall’altro vi collaboriamo attivamente, creando con l’immaginazione ciò che è assente dal palcoscenico. Attiviamo in questo modo quella volontaria sospensione dell’incredulità di cui Samuel Coleridige scriveva già nell’Ottocente a proposito della fede poetica. Grazie al nostro atto consapevole, l’illusione compie una sorta di metamorfosi semantica: non è più sinonimo di inganno ma si riempie di verità.”

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Fotomontaggio di Massimo Ceccanti da foto Carnevale Venezia 2013

marzo 2014 massimocec