Una fotografia di Massimo Ceccanti

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Caro Massimo,
questa tua fotografia mi fa venire un po’ di nostalgia. Ero ragazzo e salivo su un ciliegio. Era buio e rubavo le ciliegie. Ero con i miei amici e le mie amiche molinesi vicino all’Ozzeri e forse c’eri anche tu. So che la nostalgia del tempo perduto è un sentimento da cui dobbiamo guardarci, ma quel vecchio albero di ciliegio con la chioma fiorita della primavera mi fa provare un dolce dolore di qualcosa che ho perduto. Un albero grande, vecchio e malato rimette le foglioline verdi e sbocciano i fiori candidi davanti a un muro grigio scrostato su cui si intravede un simbolo antico e sbiadito. Una bellezza quasi sfacciata che contrasta con il muro crepato e lo sguardo ferito da un luogo abbandonato. Mi fa tornare a vent’anni dopo averne vissuti tanti. È qualcosa che i portoghesi indicano con saudade e Tabucchi chiama nostalgia del futuro. E questo è un paradosso, perché del futuro si è curiosi e non nostalgici.

Per esempio, vorrei dirti che si può avere nostalgia del bel momento che abbiamo perso mentre scattavi la fotografia, eravamo insieme a Nicosia ti ricordi? Era una dolce primavera di qualche anno fa. Ecco però che ci prende un po’ di nostalgia nel momento in cui guardiamo la fotografia, qui ed ora, con quel ramo fiorito che si affaccia sull’inferriata arrugginita della finestra. Allora si vedono delle sfumature di luce rosate sul muro che prima appariva soltanto grigio. A questo punto pensiamo che è stata scattata al tramonto, il momento privilegiato dei nostalgici. E quando togliamo lo sguardo dalla fotografia e torniamo alle nostre faccende quotidiane ci può tornare in mente il momento in cui ci siamo fermati a guardare una fotografia di un albero fiorito che contrasta con un panorama desolante. E avere nostalgia del momento che stiamo vivendo. Stiamo provando di persona una seppur lieve e passeggera nostalgia del futuro.

Odellac