Viaggio a Valencia

Viaggetto valenciano

di Ovidio Della Croce

GALLERIA (Fotografie di Susanna Vierucci)

Innanzitutto: perché Valencia. Perché c’è mia figlia Laura in Erasmus. E poi il volo diretto da Pisa dura un paio d’ore e, se preso in tempo, costa poco: centotrenta euro in due andata e ritorno. Con Susanna avevamo sentito via Skype Laura, che cosa fantastica Skype, e ci aveva fatto fare il giro di casa sua. Arriviamo per Pasqua in quella casa vista al monitor del computer e mia figlia mi accoglie con una sorpresina: una maglietta con una fotografia scattata alla Granja, la spiaggia vicino a Oporto, e una frase che ho letto e che ora rileggo meravigliato e ammirato: “Come vanno le cose. E cosa le guida: un niente”. Grazie Laura del pensiero e di avermi fatto scoprire Valencia!

Camminiamo, veloci, nel Jardín del Túria e penso che se avessi cominciato all’età di mia figlia di questo passo ora avrei visto tutto il mondo. Le ossa sarebbero comunque in qualche punto doloranti e anche la carne sarebbe un po’ triste e indolenzita comunque, come le ossa e la carne dei miei nonni che però non hanno affrontato grandi viaggi, ma avrei visto tutto il mondo. L’idea di questo parco venne dopo l’inondazione del Rio Túria nel 1957. Dal disastro alla meraviglia del parco inaugurato nel 1986 nell’antico letto del fiume Túria che venne prosciugato e il suo corso deviato fuori dai confini della città per evitare le frequenti alluvioni di Valencia e ridare ossigeno alla città. Camminiamo veloci in questo giardino bellissimo in primavera e anche nelle altre stagioni tra bambini che giocano e persone di ogni età che fanno sport e, costeggiando la città vecchia, arriviamo alla Ciudad de las Artes y la Ciencias, in castigliano; in valenciano Ciutat de les Arts i les Ciències.

Altra meraviglia di Valencia, progettata dall’architetto Santiago Calatrava e realizzata negli anni Novanta, è questo complesso di cinque edifici giganteschi. Data la vastità bisogna fare delle scelte, decidiamo di visitare solo il Museo delle scienze e il Parco Oceanografico in due giorni diversi. Al Museo delle scienze ci si può divertire in mille modi, per esempio fotografando la propria ombra, e si può restare affascinati da un pendolo di Foucault tra i più grandi del mondo. Il pendolo fu costruito come esperimento per dimostrare la rotazione della terra e, lasciato libero di oscillare per ore, si vede che non traccia linee nella stessa direzione, ma nel nostro emisfero ruota in senso orario. Si può indugiare davanti alla biografia dei coniugi Curie e di Marie, unica scienziata che ottenne due premi Nobel, uno per la fisica e uno per la chimica con la sua scoperta del radio e del polonio. In quegli anni tra Ottocento e Novecento iniziarono gli studi sulla radioattività grazie a scienziati ottimisti, gli effetti malefici si sono visti dopo. Com’è noto, la scienza non è imparziale, dipende dall’uso che ne viene fatto.

Gli appassionati di scienza troveranno qui quello che fa per loro, ma gli amanti della grande varietà delle specie viventi ne potranno osservare circa cinquecento presenti al Parco Oceanografico per un totale di quarantacinquemila esemplari. I visitatori potranno guardarle dall’alto, di fronte e anche dal basso passeggiando in un tunnel sottomarino. Dopo l’inevitabile spettacolo dei delfini, per me le sorprese sono state il drago marino, pesce che tende a mimetizzarsi tra le alghe, e il leone marino con la criniera; ma si può andare alla ricerca di qualche strana creatura acquatica protagonista di qualche racconto di letteratura fantastica se si ha la pazienza di cercarla e la fortuna di trovarla.

Per il ritorno sfruttiamo il nostro abbonamento a Valenbisi e saliamo su una bicicletta pubblica diretti verso il centro pedalando su piste ciclabili verdi o rosse o su un un viale sotto le foglie delle palme mosse da un vento fresco. Ci pare una buona idea quella di sostare in una horchateria. Simpatica è El Collado, ma la più famosa e facilmente raggiungibile è Santa Catilina, che si trova vicino a Plaza de la Reina. Una siesta in questo storico locale per rinfrescarci con una horchada e spizzicare qualche buñuelos di zucca è quello che ci vuole.

I nostri passi andavano svelti, ogni giorno, mi sembrava di andare a caso, ma seguivo un itinerario studiato da Susanna sul sito “lovevalencia.com” e guidato da Laura, e mi accorgevo che la sua voce era meglio delle parole scritte sulle mie guide: la Playa de la Malvarrosa, l’antica Universidad, il Barrio del Carmen, Plaza de la Reina, Plaza de la Virgen, la Lonja, il Mercado Colon, Plaza del Ayuntamento che la mia vecchia guida Touring riporta col nome Plaza del Caudillo che aveva durante il franchismo.

Nel Carrer dels Cavallers, a cinque minuti dal Mercato centrale, c’è il Teatro Talia, piccolino, ma con un’atmosfera particolare. Una sera davano un monologo tratto da La Piazza del Diamante di Mercè Rodoreda, ambientato a Barcellona, è il romanzo più grande della guerra civile spagnola. La protagonista Colometa, meravigliosamente interpretata da Lolita Flores, racconta i drammi della vita e della storia. Ci sediamo in platea e ascoltiamo l’inizio della storia di Colometa: “Mia madre morta da anni che non mi poteva più consigliare e mio padre sposato con un’altra. Mio padre sposato con un’altra e io senza mia madre, che viveva soltanto per me. E mio padre che s’era risposato e io così giovane e sola nella Piazza del Diamante… e tutta quella gente allegra e mentre stavo col naso per aria una voce vicino all’orecchio mi chiese, balliamo?”. Alla fine il pubblico ha applaudito in piedi. E anche noi ci siamo alzati in piedi e abbiamo battuto le mani. Intanto la terra gira e le cose vanno e cosa le guida: un niente. Be’ sì, questa frase devo proprio averla letta da qualche parte.

Sull’aereo non pensavo di scrivere questo viaggetto valenciano. Pensavo piuttosto che il volo filasse liscio perché dovevo tornare a scuola alle ultime ore per una lezioncina, guarda caso, sulla guerra civile spagnola. Eravamo in orario e mi piaceva l’idea di rientrare al lavoro direttamente da Valencia. Mi ero alzato prestissimo, stavo riordinando i fatti che portarono alla fine della povera Repubblica spagnola quando le palpebre si chiudono e entro nel dormiveglia. Dopo un po’ una voce all’altoparlante mi sveglia, prima in inglese, e poi in spagnolo con un avviso pronunciato male di cui capisco solo questo: “Se informan a los pasejeros que… por problemas de seguritad, no es posible aterrizar en el aeropuerto de Pisa… por lo tanto… el avión… diroctamiento al aeropuerto… in Polonia”. “In Polonia?”, faccio a Susanna. Lei mi dà una gomitata e dice: “Svegliati: a Bologna”. Quello che ho pensato in quel momento, no via non posso dirlo.

Foto di Susanna Vierucci

Post scriptum

Sabato 11 aprile riceviamo un messaggio di scuse da Ryanair che allego al viaggetto.

 Gentile Cliente

A nome di Ryanair, le esprimiamo le nostre più sentite scuse per il dirottamento subito dal suo volo FR9326, da Valencia a Pisa in data 10-04-2015.

Ryanair si impegna a fornire un servizio puntuale a tutti i passeggeri e continua a essere la compagnia aerea che registra il minor numero di disservizi in Europa, con il 92% dei voli giunti a destinazione in orario lo scorso anno.

Ciononostante, ci sono alcune situazioni che esulano dal nostro controllo e incidono sulle attività di volo. Siamo perciò spiacenti che il suo sia stato uno dei rari voli coinvolti in tali disagi.

Fare clic sul seguente collegamento per informazioni sui diritti del passeggero ai sensi del Regolamento UE – AVVISO CE261/2004 – 14.2

Ci scusiamo ancora una volta per il disagio causato dal dirottamento di questo volo.

Cordiali saluti

Ryanair

odellac agosto 2017