È un libro fotografico ricavato da parti di altri libri di Genovesi, un fotografo amatoriale che si dedica al reportage sociale, alla fotografia impegnata, a quella fotografia che ha trovato nel neorealismo il suo apice in Italia, ma che ha tra i suoi maestri la fotografia americana della Farm Security Administration e ancor prima la fotografia di Riis e Hine, mentre i suoi epigoni innovatori sono William Klein, Robert Frank e poi Garry Winogrand e Lee Friedlander. È una fotografia che si basa sull’idea che per descrivere uno stato d’animo, in fotografia, sia necessario cogliere l’attimo, l’istante senza una progettazione del soggetto o della composizione, su una sorta di automatismo della visione capace di tradursi in immagine fotografica carica di senso e capace di evocare storie e narrazioni. Genovesi usa la fotografia per descrivere situazioni sociali quali quelle del lavoro in fabbrica (Zuccherificio) o nel mattatoio o ancora nell’agriturismo biologico come in FOTOVOLTAICO, per documentare situazioni di disagio sociale (case assistenziali come CASA MAFFI, vita nelle carceri come in LIBERI DENTRO e FEMINA REA, la redistribuzione di cibo in L’OPERA DEL BANCO, le conseguenze del terremoto de l’Aquila, o nell’ambito dell’immigrazione in TRA QUATTRO MURA, STAND-BY SOTTO SFRATTO, SIT-IN e D.O.C.). Il filo comune che lega questi lavori è quindi la documentazione di situazioni socialmente difficili.
Dal punto di vista fotografico i suoi lavori sono racconti fotografici, usa la fotografia come meccanismo narrativo. Genovesi dice di basare i suoi lavori sul rapporto fiduciario tra il soggetto fotografato e il suo fotografo. La fotografia di reportage di Genovesi non è quindi una fotografia basata sull’idea del fotografo cacciatore ladro di istanti, ma piuttosto sulla condivisione di stati d’animo, sull’empatia con i soggetti che fotografa. I suoi reportage non sono il prodotto di un atto creativo da parte del fotografo ma di un atto di testimonianza, di specchio critico della realtà che si riflette nella coscienza di un individuo attento ed eticamente coinvolto nella realtà in cui vive. I soggetti e le loro storie vengono narrati mediante un continuo confronto con l’ambiente in cui sono inseriti mantenendo un atteggiamento di rispetto nei confronti del soggetto che spesso è un soggetto debole, evitando di trasformare il disagio e la sofferenza in una sorta di spettacolo. Per i suoi racconti usa tutti i mezzi espressivi che la fotografia moderna mette a disposizione: il mosso, lo sfocato, l’inquadratura angolata e obliqua, i soggetti tagliati, i contrasti di luce, le cornici. In particolare mi sembra che Genovesi giochi molto con il fuoco e con il mosso per attirare l’attenzione sul soggetto e l’indeterminatezza delle cose che lo circndano, soprattutto in alcuni reportage. In altri invece le fotografie sono nitide con in Acqua Village.
Genovesi dice che elemento fondamentale per realizzare un lavoro fotografico è la capacità di individuare il concept e cioè un punto di vista attraverso il quale acquisiscano senso, individuare un centro d’attrazione intorno al quale le immagini ruotano senza disperdersi in frammenti autonomi ma incoerenti.
Tra tutti i lavori di Genovesi tre in particolare mi hanno colpito, uno in bianco e nero e due a colori.
FEMINA REA
Il primo, Femina Rea, è un fotoreportage sulla carcerazione femminile, mi ha colpito per la tematica in gran parte ignorata, per il tentativo di esplorare un mondo ignoto ma dotato di una sua dimensione umana fatta di sentimenti, stati d’animo, aspettative, delusioni. Un reportage che esplora il senso del possibile inteso come modo possibile di vivere la propria vita, un possibile legato non ad una scelta ma ad una coercizione che struttura l’esistenza che continua però a presentarsi in tutte le sue manifestazioni essenziali, fisiologiche e non. È un possibile che sembra non riguardarci ma che fa parte dell’orizzonte di ciascuna vita. Il lavoro di Genovesi lo esplora dal punto di vista visivo, lo mette di fronte ai nostri occhi, lo materializza come quando si accende una luce in una stanza buia e sconosciuta.
ACQUA VILLAGE
Il secondo, Acqua Village, un lavoro di documentazione su un parco di divertimenti acquatico a Cecina, in una località marina. Da un punto di vista stilistico e tematico le fotografie di Genovesi ricordano l’analisi sociologica delle società contemporanee di Martin Parr, senza però la dimensione ironica e insieme tragica propria del fotografo britannico. Simile è l’intento di analizzare i luoghi comuni che caratterizzano le società di massa, la gestione omologante della vita degli individui che in esse vivono. L’ironia, non contenuta nelle foto, esplode nel momento in cui si pensa a questo parco collocato a due passi dal mare, da un luogo in cui non occorre canalizzare l’acqua e organizzare le attività per poterne godere. Da questo punto di vista il reportage di Genovesi si trasforma da un evento celebrativo (venti anni di attività dell’impianto per il divertimento organizzato) in un narrazione dell’assurdità della società di massa che in qualche modo organizza tutti i momenti della vita, li omologa per poterli vendere come oggetti di consumo. Centinaia di persone che si divertono tutti facendo le stesse cose, in fila ad aspettare il proprio turno per consumare l’attimo di divertimento acquistato con il biglietto. Un attimo che non ha niente di spontaneo o di creativo ma che è stato accuratanmente preparato ed è gestito da personale professionale nel rispetto di tutte le norme con scivoli “posizionati su una palafitta di legno per ricordare le atmosfere caraibiche”.
Molto interessante è il confronto del lavoro di Genovesi con quello di Stefano Cerio Aqua Park nel quale sono fotografati i parchi di divertimento acquatici sparsi in tutta Italia d’inverno. Tutta la natura di finzione emerge nella sua brutale crudezza. Nell’introduzione del libro di Cerio si dice che questi luoghi artificiali sono forse stati inventati in Giappone “dove false battigie vengono riprodotte in gigantesche costruzioni, con decorazioni in rilievo e cieli di tela sullo sfondo, per rendere la copia delle onde e della spiaggia ancora più verosimile” magari a pochi metri dal mare come è a Cecina. L’imitazione assurda, la finzione grottesca, l’esagerazione senza limiti emerge dal vuoto in cui le strutture sono collocate, dalla natura che si riappropria dei suoi spazi mediante le erbacce che invadono gli spazi artificiali e sintetici abbandonati perché momentaneamente non funzionali all’unica logica per cui sono nati, quella del consumo e del profitto.
SPETTACOLO NOSTALGIA
Il terzo lavoro è costituito da una serie di foto che documentano la vita di una famiglia che gira l’Italia organizzando spettacoli circensi, vivendo in carri trainati da cavalli. Sono fotografie a colori dello spettacolo e della vita di una famiglia che ancora fa sopravvivere un piccolo circo itinerante. I protagonisti di questo racconto fotografico sono marito e moglie, di tradizione circense lui, di origine gitana lei, e i loro cinque figli. Una famiglia che vive organizzando una semplice rappresentazione circense in uno spazio allestito di volta in volta accanto ai carri in cui vivono nel luogo in cui arrivano. Sembra una sorta di divagazione rispetto ai lavori precedenti che però rimane coerente rispetto al modo di fotografare di Genovesi. È anch’essa l’esplorazione di un mondo possibile, di un mondo che scaturisce da un taglio netto con l’abitudinario quotidiano, frutto però di una scelta e perciò ancora più incisiva sul piano della riflessione. Il lavoro di Genovesi non mi sembra quindi sia il prodotto di una rievocazione nostalgica, oggi di moda, ma innocua. È invece esplorazione del senso del possibile come strumento fondamentale per uscire dagli stereotipi e dall’abitudine che tendono a diventare le guide principali della nostra vita.
La presentazione sul sito di Genovesi dice che:
“Una famiglia; uno spettacolo viaggiante dal fascino “d’altri tempi”. Marito e moglie, di tradizione circense lui, di origine gitana lei, insieme ai loro cinque figli sono impegnati in una semplice e coinvolgente rappresentazione itinerante. Si muovono con una carovana: unici in Italia fanno ancora uso di antichi mezzi di trasporto. Sorprendente, infatti, è scoprire che anche la loro vita quotidiana è caratterizzata dall’abitare in tradizionali carri in legno, in totale analogia con il tipo di spettacolo che presentano: “Spettacolo Nostalgia”.”
massimocec maggio 2013
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